“The Walking Dead”: Il senso della vita
Sopravvivere non è il nostro scopo
E bene sì, sono tra quelli che si sono lasciati ossessionare da “The Walking Dead“: la riuscitissima serie televisiva post-apocalittica tratta dal fumetto di Robert Kirkman. Ma chiariamolo subito: nonostante sia tra quelli che leggono il fumetto, non sono per niente d’accordo con chi considera quest’ultimo superiore al telefilm. Considero la serie progettata da Frank Darabont di gran lunga superiore, sia per il maggior spessore psicologico dei personaggi che per i messaggi veicolati dalla storia.
Inevitabilmente, essendo una seria a tratti splatter, a base di zombie e situazioni survival, molti dei messaggi più profondi passano inosservati. Ma anche una serie di questo genere può offrire, se guardata nella giusta luce, bellissimi spunti di riflessione, di cui alcuni profondamente cristiani. Per dimostrarvelo, prenderò in esame uno degli episodi più significativi della quarta stagione attualmente in corso: “Isolamento”.
Attenzione! Naturalmente, quanto segue è tremendamente spoileroso …
Per cosa vuoi rischiare la vita?
O meglio, per cosa vivi? È questa la domanda su cui ruota l’intero episodio.
Dopo l’apocalisse zombie e la sanguinosa guerra con il Governatore, il gruppo di Rick sembra aver trovato la tanto agognata tranquillità, rinchiudendosi insieme ai sopravvissuti di Woodbury all’interno di una prigione di massima sicurezza. Il gruppo però è costretto a ricredersi nel momento in cui un batterio mortale inizia a diffondersi tra gli abitanti della neonata comunità… L’epidemia, che da origine a nuovi zombie, li costringe ad organizzare una quarantena, isolando in uno dei bracci del penitenziario chiunque accusi i sintomi della malattia; e la situazione si complica quando l’unico medico, il dr. S, rimane contagiato. Hershel matura cosi la decisione di entrare in isolamento coi malati, in quanto unico membro sano del gruppo dotato di conoscenze mediche. Ma, come è prevedibile, trova l’opposizione di Rick e Maggie…
La sicurezza è un’illusione, ed è questo uno dei messaggi più forti che sembrano essere al centro della quarta stagione di “The Walking Dead”. Nessuno per quanto possa barricarsi e difendersi dai pericoli del mondo esterno, come fanno Rick e compagni, è veramente al sicuro.
Herschel lo ribadisce:
Conclusione
Quanto appena detto non vale solo per un mondo invaso dagli zombie. Non vi è infatti alcuna scelta in merito alla possibilità di crearsi una “realtà sicura”, perché di fatto in questo mondo non esiste. L’unica scelta reale e possibile è quella di decidere per cosa vale la pena di rischiare la vita. Hershel fa questa scelta, donandosi come medico alle persone che in quel momento può aiutare soltanto lui. Tutti abbiamo un compito – un modo in cui siamo chiamati a metterci in gioco per l’altro -, dirà Hershel alle figlie. Questa è la cosiddetta “vocazione“, la strada che Dio ci mette davanti per amare le persone che condividono insieme a noi quell’avventura che è la vita. Possiamo quindi scegliere se amare, o non farlo dando priorità a qualche idolo: il piacere, il denaro, il successo professionale, il potere od un progetto che ci passa per la testa. Il più insidioso di tutti è forse l’idolo della sicurezza: illudersi di poter controllare la realtà, di avere persone e/o situazioni sotto controllo, secondo i nostri schemi mentali. E scopriamo cosi, a fine episodio, che chi ha ucciso Karen è stata Carol che, mossa dall’illusione di tenere sotto controllo il diffondersi dell’epidemia perché ossessionata dal desiderio di tenere al sicuro chi ama, arriva ad uccidere a sangue freddo le prime persone tenute in isolamento. Ma a cosa serve conquistare il mondo se poi perdi l’anima, dice un certo Gesù. Ed ecco il senso di Mt 16, 25-26: chi sceglie di amare, prima ancora degli atri, salva se stesso. E l’indifferenza è già uccidere/non-amare l’altro.

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