Noi, come gli elfi, innamorati delle stelle
Le stelle, l’Assoluto
“Un filosofo una volta si chiese:
– “Siamo umani perché osserviamo le stelle, oppure osserviamo le stelle perché siamo umani?”
Quesito sterile. E le stelle ci osservano? Questa è la domanda!”
– Stardust, 2007
Mi sono sempre chiesta: perché siamo così attratti dal firmamento? Perché siamo così innamorati delle stelle?
Quando ero bambina, niente più del cielo stellato in estate mi dava la sensazione di essere in contatto con l’Assoluto, l’assoluto Mistero. Nel “Silmarillion”, quando compaiono gli elfi, i Primogeniti di Iluvatar (cioè Dio), non vi erano altri astri, altre luci al di fuori delle stelle, e così fu per volere dello stesso Iluvatar, perché essi per prima cosa guardassero a queste ed invocassero sempre Varda, lo spirito superiore che creò le stelle; essa fece per la venuta degli elfi una corona di sette stelle, la Valacirca, segno del destino. E gli elfi, al loro risveglio “videro come prima cosa le stelle del cielo, per questo hanno sempre amato la luce delle stelle”, ed in principio furono chiamati Eldar, il popolo delle stelle.
Dante disse: “Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini”.
Le stelle hanno a che fare con i desideri più profondi del nostro cuore. La parola “desiderio” infatti non è altro che un nome composto :
Desiderare, verbo dal latino “de + sidera (stelle)” (simile alla parola “considerare”), significa ‘fissare attentamente le stelle’ ma alcuni interpretano quel “de” come allontanamento, ‘togliere lo sguardo dalle stelle, ‘mancanza di persona bramata’. Giulio Cesare nel “De bello Gallico” descrive i soldati come “desiderantes”, perchè la sera dopo le battaglie, si sdraiavano per terra a fissar le stelle, attendendo i loro compagni che ancora non erano tornati.
–“Da qui il significato del verbo desiderare: stare sotto le stelle ed attendere.”, Umberto Galimberti
Promessa di eternità
Ma le stelle raccontano anche qualcos’altro, raccontano una promessa, come in Abramo (Gn 15,5)! Dio tramite le stelle fa risuonare in noi la promessa di eternità. Nel film “Stardust” le stelle che cadono nella parte magica del mondo si manifestano sotto forma di splendide ragazze, il cui cuore diventa oggetto ambito perchè portatore di vita eterna. Tornando alla citazione a inizio articolo, siamo solo noi a guardare, o ci osservano a loro volta?
Mi fa sempre sorridere la scena de “Il Re Leone” in cui Simba, Timon e Pumbaa guardano sdraiati il cielo notturno. Ognuno di loro dà una risposta diversa a quello spettacolo che stanno fissando: Timon parla delle stelle come lucciole incastonate, Pumbaa dà la risposta scientifica, quella giusta… ma Simba forse è l’unico che riesce a dare la risposta Vera: “Una volta qualcuno mi ha detto che i grandi re del passato ci guardano e ci proteggono da lassù”. C’è un’eternità oltre la morte, un vegliare di chi non c’è più.
Anche in “Dragonheart” le “stelle” vegliano:
“Anni orsono, quando l’uomo era giovane e il drago già vecchio, il più saggio della nostra razza ebbe pietà dell’uomo. Riunì insieme tutti i draghi, facendo loro giurare di sorvegliare l’uomo, sempre. E al momento della sua morte, la notte divenne viva con quelle stelle. E così nacque il paradiso dei draghi. Ma quando noi moriamo, non tutti i draghi sono ammessi in questo luogo lucente. No, dobbiamo guadagnarlo. E se non lo facciamo, il nostro spirito sparisce come se non fossimo mai esistiti”.
Le stelle dunque sono anche il ricordo di chi abbiamo perso, quella mancanza di cui parlava Giulio Cesare, e al tempo stesso la consolazione di sentire che chi manca, in fondo, rimane sempre lì a vigilare su di noi.
Nostalgia della luce
“Per aspera ad astra”, si arriva alle stelle attraverso molte avversità. Noi sempre puntiamo lì… la meta è quella, anche noi siamo destinati ad esse… forse è per questo che le amiamo tanto: quella miriade di luci argentee nel buio più profondo, brillando lassù ci parlano di casa, della nostra vera casa, ci dicono che noi siamo nel mondo ma non siamo del mondo (Gv 15, 18-19). In fondo siamo tutti un po’ Eldar. Credo che anche in noi, come per gli Elfi di Tolkien, Dio abbia lasciato un imprinting, il quale ci fa sentire nostalgia di Lui, questa dolce stretta al cuore quando le guardiamo:
“… E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?”
“Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, Giacomo Leopardi
Dante inizia la Divina Commedia perdendosi in una “selva oscura”, termina ogni cantica parlando delle stelle, e finisce il suo viaggio dicendo:
“… tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.”
Tornando da dove abbiamo iniziato: Perché dunque siamo attratti dalle stelle?
“Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Sal 8 )
Perché così come Dio non si dimentica mai di noi, possa a sua volta l’uomo fare altrettanto di fronte alla loro bellezza, ricordarsi di Lui, aprire il cuore e chiedersi: Possibile che sia tutto qui?
Commenti da facebook
1 Gennaio 2015
Noi siamo fatti di stella. Siamo vestiti di gloria, anche se per ora non è perfettamente visibile. Noi siamo già divinoumani.
“Il Figlio dell’Altissimo venne e dimorò in me,
ed io divenni sua madre.
Come io ho fatto nascere Lui
– la sua seconda nascita –
così anch’Egli mi ha fatto nascere
una seconda volta.
Egli indossò la veste di sua madre
– il suo corpo; io indossai la sua gloria”
(Efrem il Siro, Inni sulla Natività XVI,11)
14 Gennaio 2015
Bellissimo testo, grazie di cuore per la condivisione!
(scusa la risposta in ritardo, ma spesso non arrivano le notifiche nella posta!)