La Principessa Splendente – Recensione
L’importanza delle relazioni
Con la solita pessima distribuzione che la Lucky Red riserva in Italia ai film dello Studio Ghibli, dal 3 al 5 novembre è passato nelle nostre sale, un po’ in sordina, La Storia della Principessa Splendente (Kaguya Hime no Monogatari), l’ultima fatica del maestro Isao Takahata. Meno noto in Italia di Miyazaki, Takahata è il co-fondatore dello Studio, e tra i due autori è forse il miglior narratore, sebbene le sue opere non siano sempre facilmente fruibili dal pubblico internazionale.
Da parte mia l’attesa per questo film era molta. Non si vedevano film di Takahata dal 1999 (My Neighbors the Yamadas) e conoscevo la fiaba su cui si basa, nota come La Storia dell’Intagliatore di Bambù, sicuramente più comprensibile a un pubblico occidentale di quanto non lo siano gli ultimi lavori del regista. Inoltre, la tecnica di animazione, fortissimamente ispirata alle stampe antiche giapponesi, mi intrigava già dai primi trailer.
Il tutto per non parlare della colonna sonora, recuperatami in Giappone da un amico, che non ha fatto che aumentare la voglia di vedere il film.
In genere, quando mi entusiasmo cosí tanto, finisco per rimanere fortemente deluso. Stavolta non è davvero stato così.
La principessa splendente
La fiaba su cui il film si basa è antichissima e molto bella: un vecchio intagliatore di bambù trova una bambina in un germoglio e, non avendo figli, la porta a casa dalla moglie. Da quel giorno, in ogni bambù che taglia, il vecchio troverà una pepita d’oro. Interpretandolo come un segno degli dei, lui e la moglie cresceranno la bambina in città, in un palazzo costruito con tutto l’oro trovato, tenendola al riparo come un dono prezioso. La fama della bellezza della fanciulla, alla quale verrà dato il nome di Principessa Splendente del Flessuoso Bambù, si diffonde, e cinque principi le fanno la corte, venendo rifiutati dalla ragazza che chiederà loro doni impossibili. Persino l’imperatore vorrà far sua Splendente, e anche lui si vedrà rifiutato. Alla fine, la ragazza rivelerà di essere un’abitante della Luna, dove tornerà a vivere, lasciando dei doni ai suoi genitori adottivi e all’imperatore (che non la prenderà troppo bene, ma questa è un’altra storia).
Takahata, pur mantenendo la struttura fondamentale del racconto, fa però diverse modifiche, che lo avvicinano molto alla nostra sensibilità e al nostro interesse.
Il film, infatti, gioca molto sul contrasto tra tre ambienti. Il primo è quello della campagna, nella quale Splendente cresce (rapidissimamente) nel primo periodo della sua vita. Si tratta di un luogo difficile da vivere, non necessariamente sereno, ma nel quale si vivono relazioni vere, e una serenità dovuta al poter contare sempre sull’aiuto degli altri. Come noi cristiani sappiamo bene, questo è il modo di vivere per il quale siamo fatti, l’unico che porta ad una vita piena: dare un posto importante all’amore.
Il secondo ambiente è quello della città, nella quale Splendente viene portata, suo malgrado, a vivere. È il luogo in cui conta soprattutto il possesso. Tutto, nel palazzo, si fonda sull’ostentazione di ciò che si ha. Si organizzano feste per mettersi in mostra, si parla in maniera raffinata per dimostrare la propria nobiltà.
In un mondo del genere, in cui la relazione è sostituita dal possedere, si finisce per diventare oggetti. E Splendente presto se ne accorge: è diventata un oggetto per il padre, nella sua inconsapevole arrampicata sociale, ed è un oggetto per i pretendenti, che non fanno altro che paragonarla a tesori inarrivabili credendo di lodarla, ma sminuendo di fatto il suo valore di persona. È anche un oggetto per l’imperatore, una delle tante concubine di quest’uomo disposto a rinunciare anche ad una facciata di moralità pur di averla.
Accortasi della bruttura di quel mondo, Splendente cerca rifugio nella terza realtà, quella da dove viene, la Luna. La Luna è l’ambiente della serenità fasulla, dovuta semplicemente all’assenza di sentimenti. È un ambiente brutto quanto la città: le relazioni sono sostituite… dal nulla. Tornando sulla luna, infatti, si viene avvolti da un manto che fa dimenticare sentimenti e problemi. La freddezza irreale dei lunari che verranno a riprendersi Splendente è lo specchio di una serenità senza gioia. Si tratta di quel benessere falso che anche noi spesso cerchiamo nell’apatia e in un isolamento innaturale, spesso dopo essere stati feriti dalle nostre relazioni.
Splendente si accorgerà troppo tardi della falsità di quel mondo, e sarà costretta suo malgrado a raggiungerlo, senza però sembrar dimenticare davvero la campagna dove forse sarebbe potuta essere felice.
Conclusione
Si esce dal cinema pieni di pensieri. La particolare tecnica del film, che come nelle stampe antiche deforma fortissimamente l’aspetto dei personaggi a seconda delle emozioni che provano, unita a una colonna sonora (del grande Joe Hisaishi) perfettamente legata alle immagini, trasmette un flusso continuo di sensazioni che raramente un film riesce a dare. Takahata è sempre stato molto bravo a raccontare le sensazioni, ma stavolta, forse per la tecnica o forse per la profonda verità di ciò che mette in scena, sembra scriverti direttamente dentro ciò che vuole dire.
L’unico piccolo difetto del film, ed è una tara dell’autore, è la sua eccessiva lentezza in alcune parti. Non riesce però ad essere un problema che vada davvero ad intaccare la qualità di un’opera del genere.
L’adattamento italiano è di Gualtiero Cannarsi, noto per utilizzare una struttura della frase che a molti suona innaturale, unito a un vocabolario che non sempre coglie il registro giusto. In questo film, però, il suo modo di adattare suona meno assurdo del solito. Insomma, lo si può guardare in italiano senza saltare troppo sulla poltrona.
Non c’è ancora una data per il Blu-ray italiano, ma almeno in questo la cura della Lucky Red è innegabile, e possiamo essere certi di poterlo avere in casa presto e ben realizzato. Preparatevi a prenderne una copia, merita davvero
Commenti da facebook
12 Settembre 2015
Visivamente meraviglioso, riesce a mescolare schematismi e morale da fiaba ad una resa realistica (per quanto caricata) dei personaggi, in particolare della Principessa.