Lo Hobbit: il buco nel terreno e i talenti sprecati
“In un buco nel terreno viveva” un… talento!

Dettaglio da “A long long adventure with hobbit” by Breathing2004
A loro abbiamo già dedicato un articolo –Santa Teresina e la via degli Hobbit-, qui proviamo ad analizzare come una storia per bambini come “Lo Hobbit” racconti in realtà qualcosa che riguarda tutti noi da vicino: la scoperta di chi siamo veramente.
Chi sono, dunque, gli hobbit?
Hobbiton: la campana di vetro
A ben vedere sono creature molto semplici, hanno
delle caratteristiche fisiche peculiari, ma per di più sono delle persone pacifiche, che vivono apparentemente una vita idilliaca: hanno campi, negozi, tutto ciò che serve, stanno nella Contea che è quanto di più lontano ci sia da problemi e guai. Lì c’è ogni comodità per non andare oltre il confine di casa. Il sogno di tutti noi (soprattutto noi nerd e introversi XD). Il protagonista di questa storia ne è un eccellente rappresentante: tranquillo, abitudinario, una persona considerata “rispettabile” da tutti, certo, c’era quel ramo strano della sua famiglia… quello invece era visto con sospetto e poco rispetto dagli altri hobbit: era il ramo della famiglia Tuc. Pare che avessero in parte sangue di fata. Quanti guai aveva provocato in passato. Eppure si sa, il sangue di fata vuol dire saper vedere ciò che è bello. Il nostro protagonista si chiama Bilbo Baggins, metà Beggins e metà Tuc. Per metà immerso in una vita diremo “normale”, per l’altra metà… Insomma, stava bello tranquillo nella sua caverna hobbit, con una routine sedimentaria fatta di faccende di casa, pasti assicurati, passeggiate, anelli di fumo con la pipa. Ve l’ho detto, la vita che tutti vorrebbero: ozio e pace. Una vita Hobbit. Sfortunatamente per Bilbo, Gandalf, amico da sempre del ramo della famiglia Tuc, improvvisamente irrompe in questa vita hobbit coinvolgendolo in un’avventura… o forse dovremmo dire disavventura? Questo dipende sempre da come la si vuole vivere (come ci dice la citazione del buon Chesterton!).
Avventura o disgrazia?
Perché parlare di questa che sembra una storiella per bambini, con elementi apparentemente insignificanti? Perché ci dimostrerà che l’unica calma piatta e priva di problemi e guai che possiamo avere nella nostra vita, si chiama “morte”. E che in teoria abbiamo sempre in noi una piccola parte di “sangue di fata” che combatte contro questo malsano desiderio di non vivere, di non uscire dalla tana, anche se possiamo metterla a tacere con le abitudini e le paure. Perché qui si tratta principalmente di una lotta: quella contro la paura di vivere. Non si parla di essere contenti delle cose brutte, delle complicazioni e delle difficoltà andandosele a cercare, il male non è una cosa che va desiderata; ma d’altro canto, è anche vero che c’è in fondo in noi l’illusione di poter esserne immuni, che potremmo avere una condizione di benessere illimitato. Bilbo inizia a sentire dentro di sé come due voci distinte, che saranno denominate la parte Beggins, della vita mediocre, senza problemi ma anche senza niente di importante e meraviglioso, e la parte Tuc, della vita che grida e che non cede ai pensieri neri di paura e di ansia, che sa scovare la bellezza nelle cose, magari anche in quelle che ci spaventano, che ne sa cogliere il dinamismo, (solo la vita si muove, ciò che rimane fermo è come morto). E la lotta sarà continuamente tra due visioni opposte: la vita come avventura, e la vita come disgrazia.
Il talento..nascosto
Quando Gandalf irrompe nella storia, Bilbo quasi da subito intuisce che le sue solide sicurezze sarebbero state messe in pericolo. Ma questo perché Bilbo, come tutti gli hobbit (o forse dovremmo dire, come tutti noi?) crede di sapere perfettamente cos’è il meglio per lui: un pasto caldo, un tetto dove riposare, le proprie cose al loro posto..insomma, quello che abbiamo detto finora, una vita tranquilla, dannatamente tranquilla, tanto da sentirla minacciata, come un diritto del quale si viene espropriati. E a ben vedere, di che vita sarebbe capace uno come lui? In fondo è solo un piccolo, abitudinario Hobbit che troverebbe forse anche troppo trasgressivo allungare di qualche passo e minuto le sue quotidiane passeggiate XD. Ma Gandalf ha un occhio più raffinato, sa riconoscere il sangue di fata e sa che Bilbo è più di quello che lui stesso crede. Ma come può scoprirlo rimanendo nella sua buca? Dovrà spingercelo fuori, spacciandolo per scassinatore abile, scaraventandolo senza nemmeno chiederglielo nell’impresa dei Nani di riprendersi la loro casa, la Montagna Solitaria invasa dal drago Smaug. Ed è allora che inizia a risvegliarsi qualcosa in Bilbo, al cantare dei nani che narrano la loro storia, è sentendo le parole della canzone che “qualcosa che veniva dai Tuc si risvegliò in lui, e desiderò –verbo importante, quel senso di nostalgia e quel nostro tendere verso il cielo stellato – di andare a vedere le grande montagne, udire i pini e le cascate, esplorare le grotte ed impugnare la spada al posto del bastone da passeggio. Guardò fuori dalla finestra. Le stelle erano apparse in un cielo buio al di sopra degli alberi. Pensava ai gioielli dei nani che scintillavano in caverne buie. Improvvisamente nel bosco al di là dall’Acqua palpitò una fiamma, […] ed egli pensò ai draghi predatori che venivano ad installarsi nella sua Collina e ad appiccare il fuoco dappertutto. Rabbrividì: e in men che non si dica, era tornato ad essere il posato signor Baggins di Casa Baggins, Vicolo Cieco, Sottocolle.”
Per un attimo vive con i suoi occhi l’avventura, ma un pensiero nero, una stupida immagine maligna e priva di fondamento, distrugge la bellezza di ciò che aveva intravisto. Bilbo ha risotterrato il suo talento. Ha nel cuore un desiderio di grandezza ed avventure per la sua vita, ma di fronte ai rischi sembra che tutto sfumi in una nube di pensieri neri o in una luce artificiale di illusioni.
Nascondino
In tutta la storia, Bilbo non farà altro che lottare tra il giocarsi e nascondere i suoi talenti. Certo che ha il sangue di fata, e che Gandalf ha visto in lui una grandezza oltre la sua piccola statura, ma il bello degli hobbit è che non sono degli eroi, non hanno proprio niente a che fare con loro. Bilbo ne azzecca una e poi non ne ingrana mezza, al contrario ci vorrà tempo, molto tempo prima che capisca di cosa è davvero capace e si convinca che è stato bello partire. Fin da subito è altalenante: ci sono dei momenti in cui ha degli scatti di profondo entusiasmo, ma non appena qualcosa gli dà la scusa, scava la buca desiderando nascondersi di nuovo nel suo antro hobbit. Questo guardarsi indietro a ciò che ha lasciato, sarà una delle battaglie di Bilbo. Si potrebbe obiettare “Ma nel patto coi nani viene espressamente detto che potrebbero non far più ritorno a casa..voglio vedere te in pericolo di morte!”. Beh, anche questo è vero, insomma come dargli torto? Ma è davvero il pericolo di morte il punto?
Effettivamente sì, ma sotto un’altra prospettiva. Non illudiamoci che Bilbo guardi solo all’incolumità fisica: in realtà era quella parvenza di sicurezza e quel piattume mediocre che più di ogni altra cosa difende. Se avesse saputo vivere, avrebbe anche saputo riconoscersi morto dentro. Paradossalmente ciò che lo salverà dalla morte sarà proprio rischiare la sua vita, e rischiarla fino in fondo. Non viene mai detto esplicitamente nella storia, ma la quotidianità di Bilbo non era quel vivere la vita come dono costante, come novità e come bellezza delle piccole cose (per quanto Bilbo amasse le sue piccole abitudini), era qualcosa che scimmiottava tutto questo senza riuscire mai ad esserlo, era la schiavitù di una vita senza rischi ma anche senza promesse. Non si guarda indietro solo perché ha buon senso, è prudente e ci tiene alla sua vita (giustamente XD), ma si guarda indietro perché gli manca non-vivere, gli manca la sua gabbia dorata che conosce bene, che non può riservargli sorprese di nessun tipo. Bilbo è un bambino che ha paura di diventare uomo: quando appena incamminatisi il tempo è bello ed ottimale, tutto sommato non gli dispiace di esser partito, ma quando arriva il primo diluvio, ricomincia a borbottare tra sé e sé rimpiangendo di trovarsi lì, e questo sarà lo schema di tutto il suo viaggio. Tolkien non a caso evidenzia continuamente i suoi cali di umore con “non fu l’ultima volta”.
Come oro nel fuoco
La battaglia che Bilbo intraprende mettendosi in viaggio riguarda anche le difficili relazioni con i Nani, diffidenti nei suoi confronti fin da subito (dopotutto era lui il primo a non avere fiducia in sé). Solo Gandalf sa quanto lui in realtà valga, è l’unico che continua a vederne il valore, nonostante gli errori ed i malumori. Ma Gandalf, diciamocelo, è un po’ (sarà un caso?) come Dio, e se da una parte insegna a Bilbo a guardarsi con gli stessi occhi con cui lo guarda lui, dall’altra per far sì che i talenti vengano alla luce, dovrà per forza sparire dalle scene. Infatti è solo quando Gandalf abbandona il gruppo che Bilbo riesce a riscattarsi di fronte ai Nani, e dirò di più: è proprio nel rimanere completamente solo, senza sapere dove siano andati a finire gli altri, disperso in una foresta quasi senza luce, attaccato da un ragno gigante che voleva mangiarselo, che acquisisce consapevolezza di sé. Impugnando “Pungolo” e dandole un nome, è come se iniziasse a prendere finalmente possesso di sé e della sua identità.
Certo, va detto che ha delle belle botte di…Provvidenza, diciamo così XD ma credo che nella vita succeda questo: più ci si fa coraggio, e più le cose iniziano a prendere una direzione, anche quelle che non di pendono da noi (che poi siamo franchi, sono la maggior parte). Quando la parte Tuc di Bilbo prende il sopravvento, la storia mostra come per uno strano, inspiegabile e misterioso motivo, le cose per quanto terribili, quando non ci si arrende, si intrecciano con la giusta direzione ed in qualche modo poi vanno esattamente come devono andare. E Bilbo così, nelle situazioni peggiori e più pericolose, scopre cosa realmente si cela in lui. Dice Siracide 2, 5 : “perché con il fuoco si prova l’oro” (e tra l’altro Gandalf, dal quale questo cammino ha inizio, è il servitore del Fuoco segreto *-* -SuperCattoNerd mode: ON!). Finché stava nella sua tana, Bilbo era uno hobbit di 50anni abile a fare cerchi con la pipa e amante delle camminate circoscritte al suo piccolo ovile. Ora Bilbo è esposto a mostri, insidie, e rischia costantemente la vita, ma proprio ora scopre di saper combattere, di essere arguto e capace a tirarsi fuori dai guai anche da solo, che può aiutare gli altri, che può farcela. Bilbo, nonostante i suoi continui alti e bassi, sta scoprendo finalmente chi è!
Conclusione
Non racconterò tutti i passaggi della storia, perché per chi non l’ha letto è bene che se lo legga (che nerd siete sennò? XD). Come si sarà già capito, Lo Hobbit non racconta semplicemente un’avventura, fa molto di più, racconta come porsi di fronte alla vita: o diventa un’occasione, un’occasione per scoprire cose meravigliose e imparare a combattere contro quelle negative, per guardare il mondo con occhi diversi, per rialzarsi e andare avanti, oppure è una disavventura, una catastrofe piombataci addosso che malediciamo ogni giorno, che sa di disperazione, che vacilla tra un’illusione di perfezione e benessere ad un angoscia profonda senza vie di uscita, “Casa Baggins, Vicolo Cieco”. Eppure anche quando siamo noi a cercarci questo stato di non-vita, quando ci nascondiamo nella nostra Hobbiton, nella nostra piccola gabbia dorata, può arrivare un Gandalf a visitarci, quell’imprevisto magari un po’ fastidioso (per riprendere Chesterton) e poco attrattivo che ci chiede di lasciare da parte noi stessi per uscire allo scoperto, forse anche rischiare qualcosa. Ma la domanda è, quando arriverà (e sicuramente in ogni nostra giornata arriva qualcosa di simile) quale parte di noi lasceremo vincere: Tuc o Baggins? Avventura o disavventura?
Commenti da facebook
29 Dicembre 2014
Citazione del giorno e dell’anno nuovo: “Un’avventura è soltanto un fastidio considerato nel modo giusto. Un fastidio è soltanto un’avventura considerata nel modo sbagliato.” Grazie! Il buon Chesterton non sbaglia mai. Comunque ottimo articolo, Lo Hobbit è un libro che in età adolescenziale (e non solo) può cominciare a farti provare quel senso di instabilità e precarietà che prima o poi viene a fare i conti con tutti noi. Come spiegato ottimamente nell’articolo possiamo scegliere il filo nero, e abbandonarci all’oscurità, o quello bianco, e vivere la più grande avventura della nostra vita (la vita stessa!), e la scelta di Bilbo, pur rimanendo nella sua grande umiltà di hobbit, mi sembra chiara. Ancora bel lavoro! Continuate così!
29 Dicembre 2014
Ciao Faramir (bel nome hai scelto *-*), sono contenta ti sia piaciuto l’articolo! Confesso che il libro l’ho letto per la prima volta un anno fa (vergogna lo so XD), quindi già grande, ma ho subito percepito come dici tu un senso di instabilità che però dentro sai essere necessario perché la vita vera passa necessariamente per questo. Grazie mille dei complimenti e dell’incoraggiamento =)Buona avventura!