La potenza di una bella storia. Ovvero, della Bibbia!
La teologa narrativa

«Esiste un posto chiamato “paradiso” dove le opere buone iniziate qui possono venire portate a termine; e dove le storie non scritte e le speranze incompiute possono trovare un seguito.» (J.R.R. Tolkien)
I nostri miti possono essere male indirizzati, ma, anche se vacillano, fanno rotta verso il porto. ~ Tolkien
Tutti amiamo delle storie, alcune più di altre. E non c’è niente di più potente di una storia bella e commovente. Infatti se l’arte è, come diceva il buon Tolkien, ciò che rende l’uomo davvero più simile a Dio, nell’impellente desiderio di generare una sub-creazione, uno scrittore di buone storie, sia esso uno sceneggiatore, uno scrittore di romanzi o un poeta, è senz’altro l’artista che più si rende vicino al suo creatore. E lasciarsi rapire da una storia o da una saga di storie denota sempre una profonda sensibilità che merita di essere non solo incoraggiata, ma coltivata e indirizzata nel modo migliore. Questa è, in fondo, un essenziale primo passo verso la spiritualitàDa intendersi come sinonimo di relazione con Dio, non come altro!.
Quindi se siete dei nerdoni persi per “Star Wars“, “Il Signore degli Anelli“, “Harry Potter” o chissà cos’altro, state tranquilli, questo è assolutamente cristiano e compatibile con la fede cattolica, perché ogni buona storia che si rispetti parla sempre dell’Autore della vita e di Gesù Cristo, a prescindere che ci si faccia caso o lo si ignori del tutto… e adesso vi spiegherò il perché.
L’importanza dell’eziologia… soprattutto della Genesi!

La Bibbia illustrata di Montefeltro
Lo abbiamo già spiegato altrove, come ne “La Bibbia a cosa serve?” su Yhwh! Answer. La Bibbia è teologia narrativa: utilizza un racconto, quello biblico, per spiegare il presente e metterci così in relazione con Dio. Questo vale per ogni racconto biblico. È del resto la metodologia comunicativa che adopera lo stesso Gesù nelle parabole. Partendo da queste premesse il concordismo (la pretesa di fare concordare tutto, tipica dei fondamentalisti e/o dei protestanti) non è una pretesa della Bibbia, che invece si prefigge di offrire delle chiavi di lettura per vivere al meglio il presente.
Il rischio in senso contrario, spesso presente in correnti di pensiero progressiste, è di ridurre tali racconti a metafore, allegorie o descrizione simboliche e basta, dimenticandosi invece del valore reale, dunque ‘storico’, che essi possiedono. Faccio un esempio. La storia di Giuseppe venduto dai fratelli (Gn 37-50) è pedagogica, paradigmatica, ma realmente accaduta. Ovvero possiede un valore storico, anche se non abbiamo la certezza esatta del secolo a.C. in cui potrebbe essersi svolta la vicenda. Se si trattasse solo di una favola, scritta per fini pedagogici e nulla più, si perderebbe una dimensione importante della storia e molti livelli di lettura diverrebbero mere speculazioni. Questo vale per quasi tutti i racconti biblici.

Il sacrificio di Isacco, di Jacob Jordaens
Chiaramente andando a ritroso nel passato non è possibile avere un’approssimazione storica per racconti ancestrali quali la storia della caduta, del peccato originaleIl peccato dei primordi che ha deturpato la natura umana., della stirpe di Seth che si mescolò con quella di Caino (Gn 6, 1-4), del Diluvio universale, di Noè (Gn 5, 29-30), della Torre di Babele (Gn 11, 1-9), ecc… In Genesi, la storia vera e propria, infatti, inizia da Abramo (Gn 12, 1): nel momento in cui abbiamo a grandi linee una collocazione temporale e geografica, oltre che una narrazione esaustiva. Usando un gergo caro agli scrittori, da questo momento in poi è possibile rispondere alle cosiddette “5 WWho? («Chi?») What? («Che cosa?») When? («Quando?») Where? («Dove?») Why? («Perché?»)“. O almeno farlo in modo sommario o plausibile. Tuttavia la storia di Abramo è ugualmente paradigmatica e ha le medesime finalità dei racconti precedenti: farci comprendere il presente attraverso una storia avvenuta nel passato. In ogni caso, i racconti cronologicamente anteriori alla storia di Abramo possiedono anch’essi un valore veridico, in quanto fondamentali per il filo logico narrativo dell’intera Bibbia. In altre parole, la cosiddetta “protologia“ è necessaria per non svuotare della loro sostanza le storie successive. Qualcuno potrà replicare a quanto appena affermato, asserendo che quella che conta davvero è l’escatologiaIl fine ultimo.: conoscere dove stiamo andando piuttosto che sviscerare il passato. Ma è un madornale errore. Almeno coloro che lavorano nell’ambito della narrativa, comprendono bene quanto sia necessario focalizzare l’incidente scatenante – e la conseguente reazione del protagonista rispetto ad esso – per arrivare davvero a capire più profondamente il tema del racconto. Per questa ragione, attraverso la comprensione del presente la Chiesa proclama dei dogmiDei principi fondamentali, frutti dell'esperienza della comunità cristiana. e definisce delle verità di fede che permettono più pragmaticamente di sapere, a grandi linee, quali aspetti dei primi capitoli della Genesi e di alcune storie enigmatiche del PentateucoGenesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio., e di tutta la Scrittura, sono da leggersi come fatti reali e concreti. Facendo un esempio significativo, la monogenesi (Concilio di Trento, sessione V, decreto sul peccato originale, canone 1, pag. 9) sintetizza ciò che la Chiesa ha sperimentato riguardo la creazione della prima coppia umana e dell’unità del genere umano, di quello che conosciamo del peccato originale commesso da un capostipiteAdamo, che significa uomo., oltre che di una coerenza narrativa con quello che resta il tema principale della Sacra Scrittura:
Il valore del racconto mitico

“Vedi, Madre, io faccio nuove tutte le cose”. La scena più commovente della storia del cinema, quella del film di Mel Gibson, dove la sofferenza di una madre che dona il proprio figlio permette la redenzione dell’intera umanità
Spesso, in modo disonesto, ci cerca di ridimensionare la storia di Gesù a un mito, perché si considera il racconto mitico come una cosa inutile o superflua, che nulla a che fare con la realtà più concreta dell’uomo. Invero il mito cos’è? È un racconto la cui importanza è tale da farlo ritenere “sacro“. L’uomo ha un impellente bisogno di dare un senso alla sua vita, di capire e comprendere il perché del suo esistere; e questo desiderio interiore lo ha portato nel corso della storia ha tramandare o addirittura generare racconti e poemi capaci di lenire la sua sete di Dio. Tale esigenza è, semplicisticamente, detta “religione”. Chiunque scrive un racconto ha sempre delle pretese religiose, a prescindere che ne sia consapevole o meno.
Dunque, intrattenimento a parte, il fine di un racconto è quello di dare un senso alla vita di ognuno di noi. Ma questo come può avere a che fare con la morte e resurrezione di Gesù?
Se lo domandò pure un certo Lewis, che da ateo in ricerca scrisse così al suo amico cattolico Tolkien:
E, mettendo in discussione in valore di ogni mito, Lewis aggiunse:

Spesso ci si dimentica che il tema de “Il Silmarillion” è la perduta immortalità, quindi la caduta, dalla Prima alla Quinta era di Arda. Tolkien descrive nient’altro che il mondo antidiluviano, così come se lo immaginava
Addentriamoci nel discorso: cosa intende Tolkien con “progresso materialista“? È svuotare la storia dell’uomo di una realtà più alta, nobile, profonda e, dunque, metafisica. Ridurre i miti, siano essi pagani o monoteisti, a semplici artifici, generati per allettare l’uomo o placare la sua paura dell’ignoto, è il modo più subdolo ma efficace per distruggere la sua dignità. Ma questo peccato, così grave e deplorevole per Tolkien, lo fanno tuttora molti cristiani nel momento in cui ridimensionano opere sublimi come “Il Silmarillion” a semplici racconti fantastici. E vi dirò di più, il nerd entusiasta, sia esso cattolico o non credente, che descrive con vera e propria riverenza le opere letterarie e cinematografiche di cui è innamorato risulta, nei fatti, assai più religioso, nell’accezione positiva del termine, persino di molti cattolici che vedono nelle opere “pagane” o non “esplicitamente cristiane” solo mero intrattenimento o sofisticati inganni.

Non credere più ai racconti, ai miti, come accade ne “La storia infinita“, o ridurli soltanto ad allegorie, è il cosiddetto “nulla” di cui scrive Michaeal Ende: svuotare la realtà della sua essenza, distruggendola. Bastian darà un nome proprio di persona all’Imperatrice bambina, riportando Fantàsia in essere
C’era bisogno di una storia sublime e commovente per salvare l’uomo. Lewis comprende questa verità e da lì a breve condividerà la stessa fede del suo migliore amico.
Conclusione
Pertanto ci si può dichiarare atei, agnostici, buddisti, si può considerare la religione come un inganno o dirsi del tutto disinteressati di Gesù e della sua verità storica, così come si può ritenere la storia del peccato originale pura fantasia, ma gli archetipi legati ai temi di caduta e salvezza, morte e resurrezione, presenti in ogni saga che finiamo per amare e considerare inconsciamente “sacra”, piaccia o no, sono i medesimi dei racconti biblici e di tutte quelle storie che le tradizioni religiose considerano di vitale importanza. Da “Il Signore degli Anelli” fino a “Shannara“, da “The Walking Dead” fino a “Hunger Games” o da “Harry Potter” fino a “Naruto: Shippuden“, la struttura narrativa è sempre la stessa:
1- Qualcuno non si fida, per superbia cede alla paura, commette un madornale errore che si ripercuote concretamente su chi verrà dopo di lui. 2- E, così, inizia un’attesa messianica o di speranza. 3- Poi arriva per davvero il Messia che puntualmente supera le aspettative di tutti, con un sacrificio di amore che offre la redenzione anche a chi si considerava irrecuperabile o imperdonabile. 4- Da quel sacrificio tutto pare perduto, ma infine avviene la resurrezione e il capovolgimento del male in bene.

Naruto che salva Obito o Luke che salva Anakin, Giuseppe che salva i fratelli, e via così… fateci caso, l’archetipo è sempre il medesimo, quello di Gesù e Adamo. Non sempre l’antagonista viene salvato, ma è necessaria tale offerta per amplificare al massimo il racconto
Mi si potrebbe chiedere: “Ehi, di quale storia stai parlando?” De “Il Signore degli Anelli”? Di “Guerre stellari?” Bensì di tutte le riproposizioni della storia delle storie. Come è ovvio che sia, si può anche non esplicare o rispettare del tutto tale modello, ma di base resta sempre quello in ogni viaggio dell’eroe. Per questo motivo vi invito a leggere la Sacra Scrittura e, soprattutto, a non lasciarvi ingannare da coloro che vi diranno che tutto è già stato sviscerato o che non ci sia davvero niente di importante da scoprire o sperimentare (il mediocre saccente di cui abbiamo parlato ne “Il Cristianesimo dei Nerd“, Lc 5, 37-39). Ma più di ogni altra cosa, mi preme fare presente che l’aprirsi a Dio come un bimbo curioso è tutto di guadagnato (Mt 18, 3). Non c’è nulla da perdere. E con delle chiavi di lettura cristiane una storia apparentemente non cristologica come quella di “Star Wars” vi apparirà non soltanto più bella (eh, difficile… ma possibile! ), ma addirittura profetica come il libro di GiovanniL'Apocalisse..
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