Il vero modo per amare qualsiasi cosa consiste nel renderci conto che la potremmo perdere.

— Gilbert Chesterton

Lo chiamavano Jeeg Robot – Recensione

La resurrezione del cinema italiano


No, non è un’esagerazione. Sono tra quelli che reputano “Lo chiamavano Jeed Robot” davvero uno spartiacque del cinema italiano. Il film è tecnicamente ben fatto, nonostante vi sia qualche errore o sbavatura nella regia e nella sceneggiatura, ma stiamo parlando davvero di dettagli. Rispetto a qualsiasi film che vediamo normalmente nelle sale italiane, siamo anni luce avanti. È un lavoro egregiamente ben fatto. Anzi, che il regista sia così giovane, quasi esordiente, eppure già capace di superare ampiamente un film quale “Il ragazzo invisibile” di Salvatores, ci fa riflettere sullo stacco generazionale tra i nuovi registi e sceneggiatori, abituati a un linguaggio veloce, fumettistico e multimediale rispetto ai precedenti che ancora restano fermi a “Don Matteo” o alla commedia all’italiana. Senza entrare nella storia dell’evoluzione della comunicazione rispetto al cinema e al fumetto, storia cominciata con il linguaggio più veloce e multisensorialeFare uso di ognuno dei cinque sensi per la narrazione. del videogioco, che in Italia si resti ancorati ad opere letterarie e cinematografiche ormai non più paradigmi di cui tenere conto, è pressoché comprensibile se non si da spazio alle nuove generazioni. Poi vabbè, in realtà è tutta una questione di nerditudine. Abbiamo persone refrattarie a tali linguaggi anche tra i nostri coetanei.

Lo chiamavano Jeeg Robot… un capolavoro!

No, dai ma che dici, si poteva eccome fare di meglio.

Sì e no. Fermo restando che non si tratta di un film perfetto – e oltretutto quasi nessun film lo è – “Lo chiamavano Jeed Robot” è indubbiamente una figata! Suggestivo, accattivante, fumettoso e multi-target: può piacere sia a un truzzoCoatto, tamarro od Homo erectus. che a un nerd, in egual misura. Sicuramente è un film forte, non adatto al bambino o alla nonna, bensì rivolto a persone capaci di coglierne le giuste chiavi di lettura, che senz’altro mettono in una corretta prospettiva addirittura le scene sgravate e quasi “tarantiniane” che troviamo dall’inizio alla fine del film. È un linguaggio volutamente forte, non mediocre, che mira a sconvolgere lo spettatore piuttosto che a lasciarlo passivo e confortato da un racconto dove non possa accadere nulla di male o sgradevole agli occhi.

Detto questo, in risposta alle criticheLe polemiche di alcuni esperti di settore. che non ne hanno riconosciuto il valore, se non piace “Lo chiamavano Jeeg Robot” le possibilità potrebbero essere prettamente tre: 1) Moralismo; 2) Snobismo da cinema ricercato. Si consiglia la meditazione di Matteo 18, 1-5 come terapia. 3) In ultimo, grave miopia. Lì non possiamo che pregare per voi.

La vocazione dell’uomo: fare l’eroe

Tornando al film, gli sceneggiatoriNicola Guaglianone e Menotti. hanno saputo senz’altro cogliere il principale problema esistenziale di ogni neonato eroe: la vocazione dell’uomo. Il film narra della vita di un ladruncolo, Enzo CeccotiInterpretato da Claudio Santamaria, attore perfetto per il ruolo., un asociale anaffettivo che ha stabilito che il mondo fa schifo e che non gli resta altro da fare che tirare a campare. La storia del protagonista cambia nel momento in cui non soltanto si ritroverà dotato di super poteriSuper forza e super resistenza, ma non invulnerabilità. Semplice, ma efficace.., ma entrando quasi forzatamente, per colpa delle circostanze, in relazione con la figlia dell’uomo con cui aveva svolto l’ultimo lavoro da delinquente tragicamente finito con la morte di quest’ultimo. Enzo si ritrova, così, a dover gestire non soltanto i suoi super poteri ma una ragazza traumatizzata e strambissima, interpretata dalla bella Ilenia Pastorelli, che lo ribattezzerà “Jeeg Robot”, identificandolo con il pilota del famoso robottone del ’75.

Jeeg Robot

Il riferimento all’anime/manga di Gō Nagai è servito a creare un ponte tra il mondo dei nerd e degli otaku con quello di tutte le ultime generazioni di italiani che a prescindere dalla classe o razza sono state cresciute a base di anime giapponesi anni ’70-80

Gli eroi nascono dalle donne

Alessia: “C’è un sacco de gente da salvà.”
Enzo: “A me la gente me fa schifo.”
Alessia: “Cioè, non è che te poi tirà indietro. Eh, e per questo che c’hai i poteri!”
Enzo: “Perché famme capì, te questi qua li salveresti?”
Alessia: “Eh, te credo!”

Come ogni bella storia che si rispetti, l’uomo scopre la sua vocazione nell’amore sponsale. Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, ma nelle storie più paradigmatiche di solito quest’ultima muore o diventa irraggiungibile come la Beatrice di Dante. L’uomo resta così solo, ma pieno di desiderio per qualcosa di più grande di lui. Questo è il senso della vita: tendere all’Eternità scoprendo l’Amore di Dio. E Dio Padre non a caso maschio e femmina li creò (Gn 1, 27), perché è nell’incontro tra uomo e donna che si manifesta in maniera più inequivocabile il senso dell’esistenza o la vocazione. Durante tutto il film, in maniera alternata, si mostra la definitiva caduta dell’antagonista soprannominato “Zingaro”, che arriva a distruggere i membri storici della sua banda nell’inutile ricerca del successo – in quanto l’egocentrismo è l’antitesi dello stare in relazione –, e dall’altra si offre Enzo, criminale anche lui, che nello scoprire l’amore per Alessia e il desiderio di voler vivere per qualcun’altro si liberà della sua asocialità. Dunque da una parte si cerca la grandezza partendo da se stessi, dall’altra partendo dall’altro. La differenza tra buoni e cattivi, eroi e criminali, è tutta qua.

Attenzione, spoiler alert!

Alessia principessa in tram, Jeeg Robot

Come descrive la stessa Ilenia Pastorelli , “Alessia è una bambina nel corpo di una donna, che si è rifugiata nel mondo degli anime ’70”

Il film mostra la tragicità del rapporto uomo e donna rispetto le lacune di una persona non soltanto anaffettiva come il protagonista, ma soprattutto del disordine sessuale. I film porno sparsi per tutta la tana di Enzo, mostrati nella prima inquadratura della casa, uniti allo squallore dell’abitazione e addirittura alla voce del Papa inserita tramite il televisore acceso nella stanza, non sono come superficialmente qualcuno ha sostenuto un modo per “provocare” lo spettatore medio italiano, formalmente cattolico e benpensante (in realtà l’Italia è tragicamente tra i paesi europei con maggiori problemi di dipendenze sessuale, pornografia, prostituzione e altro), ma un espediente per mostrarci il disordine sessuale e affettivo di un protagonista assolutamente contemporaneo. Tutto questo messo in contrasto al personaggio più surreale di Alessia: una ragazza traumatizzata, perché prima abusata dal padre e poi dagli specialisti che avrebbero dovuto curarla e assisterla, che rimane nonostante tutto candida in attesa di un abito da principessa e ancora capace di credere che il mondo possa ospitare personaggi incredibili come Hiroshi Shiba. Enzo tenterà in un primo momento di amare Alessia in modo casto. In realtà, sono sempre le circostanze a forzare la mano! XD Tuttavia, in uno dei momenti più topici del film, dopo aver esaudito il desiderio di Alessia, donandole il tanto agognato abito da principessa, Enzo la tratterà come un oggetto, al limite dello stupro. È un momento incredibilmente forte e nient’affatto gratuito, che rimarca l’importanza dell’imparare ad amare in modo nobile pur avendo una natura umana ferita che ci induce ad agire di bramosia, riducendo l’altro ad un oggetto del piacere. Ergo, la donna che amiamo non dobbiamo solo vestirla da principessa, ma trattarla davvero come tale. Questo dice il film attraverso delle scene “scabrose”, ma niente affatto erotiche.

Come definiresti il film, per chi ancora non l’ha visto? ~ Domanda rivolta allo sceneggiatore

Nicola Guaglianone: “L’educazione sentimentale di un misantropo, una persona chiusa in se stessa che, grazie all’amore, riesce ad aprirsi agli altri.”

Da quel trauma si preparerà il climaxLa parte narrativa che precede il finale. del film. Enzo scopre l’importanza di voler imparare a vivere per gli altri. Alessia, come prevedibile, diventa il suo tallone d’Achille, ma paradossalmente anche la sua forza, il vero super potere, e muore uccisa dalle azioni dell’antagonista che desidera emulare in maniera speculare il super ladro de Tor Bella Monaca. La morte di Alessia corrisponde pertanto alla redenzione-resurrezione di Enzo, che decide di essere non più un ladruncolo con la super forza, ma l’eroe: colui che si mette al servizio dell’altro. Da notare come per tutto il film non abbiamo mai a che fare con un supereroe, ma un reietto di borgata che attraverso i super poteri è costretto a diventare un uomo. La scena finale in cui Enzo indossa la maschera da Jeeg Robot cucita da Alessia rappresenta perfettamente la consapevolezza di colui che raggiunge la tappa finale del cammino dell’eroe, riconoscendo la propria vocazione.

Conclusione

Lo chiamavano Jeeg Robot, locadina

I protagonisti nella locandina del film

“Lo chiamavano Jeeg Robot” è per il cinema italiano un passo importante. Il film è bello, sgravato ma profondo. Crudo, ma tenero. È qualcosa a cui i nerd, i cinofili, i lettori di fumetti e i videogiocatori sono abituati da tempo, ma che il resto dell’Italia nemmeno immagina o contempla. Nonostante ciò, si è creata un’opera capace di essere apprezzata da diversi tipi di spettatori, con più livelli di lettura, tecnicamente aggiornata agli standard del cinema internazionale. “Lo chiamavano Jeeg Robot” ha poi quel che di romanesco de borgata, ma della Roma metropoli odierna, che offre dei riferimenti accessibili esclusivamente a un romano. In breve, che la storia sia in parte ambientata a Tor Bella Monaca è una cosa che potrebbe non avere alcun peso per un milanese, ma che lascerà sorpreso in positivo più di uno spettatore romano.
Quindi si guadagna a pieno le quattro stelle. Si poteva fare di più, senz’altro con l’antagonista, un riuscito Joker alla romana che però nella parte finale non raggiunge le aspettative del super criminale a cui ci ha abituato il mondo dei supereroi americani. Il finale è forzatamente epico sui modelli supereroistici che non ci appartengono, ma il resto del film ti conquista, ti sconvolge e ti trasmette tante e così forti emozioni da raggiungere assolutamente l’obiettivo. C’è tutto, abbiamo anche un tema del racconto che risponde ai quesiti esistenziali che il film si prefigge di affrontare. In ogni caso, il voto rappresenta il grado di apprezzamento del recensore. E nel mio caso è netto. Se siete dei nerd e dei romani è assolutamente +1 (★★★★★).

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Author: Alex Pac-Man

Cultura cattolica: Affascinato dalle storie di Arda, ho cercato di capire perché Tolkien sostenesse che a essere immaginario è solo il tempo in cui sono ambientati i suoi racconti. Ho così iniziato un lungo cammino, che mi ha portato ad amare il Libro della Genesi e tutto ciò che riguarda la protologia, fino all'esperienza del percorso dei 10 Comandamenti di don Fabio Rosini. La fede cristiana è soprattutto un'esperienza di bellezza, ben lontana dall'ideologia e dall'emozionalità di chi la riduce ad un sterile atto di cieca convinzione. Cultura nerd: Le mie prime idealizzazioni furono plasmate dai capolavori di Shigeru Miyamoto, quali "A Link to the Past" e "Ocarina of Time", che, magari sarà azzardato dirlo, racchiudono in sé un po' tutta l'essenza del mito. Il mio essere un nerdone comincia dall'amore per la narrativa, per il fumetto e tutto ciò che porta alla storia delle storie.

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