Perché Dio permette le catastrofi naturali?
Il senso della sofferenza
Mi unisco anch’io alle persone che pregano per le comunità italiane colpite dalle diverse scosse di terremoto avvenute nelle ultime settimane. Continuano ad esserci vittime e numerose persone sfollate e rimaste senza casa. È un tragedia che ci ferisce tutti da vicino, soprattutto perché molti di noi hanno amici, familiari e persone care che abitano nelle regioni più colpite. Il web come sempre si è infiammato di discussioni, alcune anche piuttosto aspre, che, al di là delle molte sterili polemiche, fanno emergere un tema esistenziale importante per l’uomo: perché esiste la sofferenza?
Dio dov’era quando è successo tutto questo?
Questa domanda, di solito posta dai non credenti, parte dall’assioma secondo cui se Dio esiste non dovrebbe permettere il dolore. Il male naturale, come lascia sottintendere il termine, è la sofferenza dovuta ai meccanismi delle leggi presenti in natura, mentre quello morale è una conseguenza del cattivo uso della libertà. Dunque il dolore è una possibilità in cui tutti possiamo trovarci a prescindere dalla nostra relazione con Dio o dalle nostre virtù.

“Diario di un dolore” di C.S. Lewis è uno dei pochi libri al mondo che descrive la sofferenza come parte integrante della Provvidenza
Come sperimentò Lewis dopo la morte di Joy, la sofferenza non è necessariamente un male. La sofferenza ha un fine pedagogico, per cui abbiamo tanti motivi per ritenere che l’uomo creato in origine non fosse del tutto immune al dolore o invulnerabile nel senso stretto del termine, ma più che altro in comunione con Dio. Se AdamoL'intero discorso parte dalla premessa della monogenesi, naturalmente! non avesse peccatoAlludo al peccato originale, che ha deturpato la natura umana., la sua relazione con Dio gli avrebbe permesso di affrontare la vita terrena nell’incredibile gioia della relazione con il Padre, in vista di una glorificazione eterna, ma così non accadde… progressivamente, si perse il paradiso: l’unione con Dio e la conseguente possibilità dell’inferno. In sostanza, il peccato non è l’origine di ogni dolore e sofferenza, perché il dolore è parte integrante dell’esistenza e del creato. Questo lo vediamo nella natura… che esiste da prima dell’uomo! Ovvero, se tocchi il fuoco ti bruci a prescindere da tutto! E Dio in questo vuole dirci una cosa: “fidatevi di me! Ogni limite è posto per il vostro bene.”
Secondo la Dottrina cattolica, i danni del peccato di Adamo sono cinque: la privazione della graziaL'aiuto divino, che rispetta il libero arbitrio e viene tolto qualora si rompe la relazione con Dio., la perdita del paradiso (ovvero, la possibilità di dannarsi), l’ignoranza (la difficoltà a discernere), l’inclinazione al male (o concupiscenzaGli istinti bestiali e il desiderio di prevaricazione, oltre che le debolezze psicofisiche.), la morte e tutte le altre miserie. Tra queste ultime si includono le sofferenze esagerate, inutili, in cui il genere umano è incorso in seguito alla privazione della grazia, all’istinto di prevaricazione, al male morale e alla perdita dei doni preternaturali che lo avrebbero preservato da molte sciagure. Ma questo non esclude il dolore quale meccanismo di difesa ed apprendimento.
La sofferenza è frutto del peccato?
Quella dovuta al male morale sì, è frutto del peccato, così come lo è la natura umana ferita dal peccato originale, ciononostante la possibilità del dolore era evidentemente prevista da Dio a prescindere dalla caduta umana. Come detto prima, c’è, infatti, un dolore pedagogico che ci permette di crescere; e, da dopo la caduta, ci sono delle sofferenze che Dio permette per trarne un bene più grande. Per esempio, la morte di Gesù Cristo è un male permesso dal Padre per trarne la salvezza dell’umanità e per dare inizio ad un bene senza fine (Lc 1, 33). Del resto Gesù Cristo accettò l’estremo sacrificio della croce proprio per cancellare definitivamente l’immagine del Dio prevaricatore radicata nel cuore di molti uomini.
Le catastrofi naturali sono punizioni divine?

“Tokyo Magnitude 8.0” è un uno stupendo anime (voto: ★★★★) che ha per temi proprio la perdita e la sofferenza nello scenario catastrofico di un terremoto di magnitudo 8.0
Un santo sacerdote a cui tengo molto, fin quando era in vita era solito dire che: “Dio non castiga, Dio promuove o non promuove.” In altre parole, abbandonandoci alla Provvidenza permettiamo al Signore di rendere ogni momento della nostra vita un’occasione per crescere nell’amore di Dio. Lui ci offre la possibilità di maturare e, così, molte situazioni di sofferenza vengono ridotte o annullate. Tuttavia chi si trova in una situazione sofferta non è necessariamente più peccatore degli altri! Questo pensiero erroneo, che trova la sua origine nella teologia del benessere e nel dono divino dell’elezione, è del tutto protestante e tutt’altro che cattolico! Gesù è il Figlio prediletto del Padre (Mc 9, 7), simile agli uomini; […] che umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte (Filippesi 2, 7-8). Sull’esempio perfetto di Cristo, l’amore del Padre ci permette di donare la nostra vita a coloro abbiamo accanto, offrendo ogni nostra esperienza, sia essa di gioia o di dolore, per il bene degli altri. Quindi una persona particolarmente provata potrebbe essere addirittura chiamata ad una vita di santità che nemmeno possiamo immaginare. Infatti l’onnipotenza di Dio non sta nell’annullare il male, ma nel trarre da ogni cosa un bene più grande.
La morte entrò nel mondo con il peccato?

Il fossile di un velociraptor che aggredisce un protoceratops. C’è addirittura chi crede che senza il peccato originale non ci sarebbe stata alcuna catena alimentare… La cosa si commenta da sola
La possibilità che ai tempi di Adamo l’intero creato fosse rivestito da un’aura di invulnerabilità e che, quindi, sia uomini che animali non avrebbero conosciuto la corruzione della carne, la sofferenza e la morte fisica… beh, è una convinzione poco sostenibile a mio avviso, che poggia su di una visione letterale della Sacra Scrittura. In pratica, molti semplicemente credono che senza il peccato originale l’umanità avrebbe vissuto in eterno, sovrappopolando il pianeta (❓), in uno stato “soprannaturale”, perché “invulnerabile”, ed in una realtà addirittura “trascendente”. Pertanto l’attuale esistenza soggetta alla caducità e alla sofferenza equivarrebbe ad una sorta di “Matrix”, cioè una realtà alternativa di serie b, in cui l’umanità sarebbe stata rinchiusa, perché “cacciata” dall’EdenIl paradiso terrestre, ovvero la terra prima del peccato originale. per colpa di Adamo. Tali interpretazioni hanno delle conseguenze tragiche nel subconscio umano, in quanto il presunto cambiamento – in negativo – del sistema in cui siamo attualmente in essere non può che essere un’opera di Dio Padre. L’alternativa non c’è (a meno che non si prenda in considerazione l’esistenza di un demiurgo cattivo!), in quanto né il diavolo né qualsiasi uomo perfetto delle origini avrebbero potuto cambiare le leggi della natura che oggi possiamo liberamente osservare e studiare. Conseguentemente, consapevolmente o no, si viene a creare un’immagine di Dio despote e responsabile della nostra infelicità, che inconsciamente ci induce a credere che, sotto sotto, il Creatore non sia del tutto dalla nostra parte. È lo stesso argomento già affrontato in “Welcome to faith”.
La morte dell’anima e l’impossibilità di accogliere lo Spirito di Dio sono la vera morte a cui spesso si allude nella Sacra Scrittura, la cosiddetta “perdita del paradisoLa possibilità di dannarsi, cioè di rifiutare Dio.“. Del resto è a quello a cui si riferisce San Paolo in Romani 8, 1-2. Infatti anche dopo la venuta di Cristo la vita terrena prevede la possibilità del peccato e le persone tutt’ora muoiono, ma… c’è una ma! Non più nel buio del fatalismo relativista e/o pagano, ma in attesa della gloria di Cristo, dell’incontro con il Padre celeste e nella speranza della resurrezione (Lc 20, 35-36). Il fraintendimento è possibile e comprensibile, perché, probabilmente, c’è stato un cambiamento in un aspetto dell’esistenza umana: il passaggio dalla vita terrena a quella celeste, che sarebbe stato non di dolore e sofferenza, come lo è adesso, ma di gloria come quello di colei che è nata senza peccato originale: Maria. Alludo alla cosiddetta “dormizione”. Maria è l’esempio perfetto di come sarebbe dovuta essere l’umanità se non fosse stata ferita dal peccato originale. Maria poteva soffrire, ed infatti ha sofferto moltissimo, ma sempre nella pienezza della gioia che tutto passa, solo Dio resta (cit. Santa Teresa d’Ávila), in previsione di una gloriosa assunzione. In ogni caso l’assenza del peccato originale non ci avrebbe resi immuni dal dolore o “immortali” nel senso stretto del termine. Abbiamo ad esempio un sistema immunitario – i batteri esistono da molto prima dell’uomo –, quindi era prevista la necessità di combattere agenti patogeni esterni, anche se non sussisteva la vulnerabilità fisica che abbiamo adesso o le sindromi cromosomiche, le alterazioni genetiche e le tare ereditarie estranee al resto del regno animale.

Gli Elfi di Tolkien, ovvero l’umanità senza il peccato originale, non erano immortali nel senso stretto del termine. Potevano essere uccisi o portati alla disperazione, ma in ogni caso restavano consapevoli che sarebbero giunti a Valinor: il regno immortale
Di chi è la colpa?
La questione del rifiuto della sofferenza e del tentativo di colpevolizzare le persone vittime di catastrofi o sciagure era da sempre un’abitudine anche ai tempi di Gesù. Nel Vangelo di Luca troviamo l’esempio della Torre di Siloam:
Evitando ulteriori equivoci, Gesù asserisce che si trattò di una disgrazia, non di una punizione di Dio, ma ne approfittò per mettere in guardia i suoi interlocutori, ricordandogli che la morte dell’anima, quella che sopraggiunge se non si compie un cambio di rotta verso il bene, non è dissimile dalla morte fisica quando avviene in modo inaspettato e tragico.
C’è poi un bellissimo passo che ci permette di vedere il bene anche laddove noi vedremmo solo la sofferenza. Quello del cieco nato:
“Il circo della farfalla” è un cortometraggio di 20 minuti, ispirato alla incredibile storia di Nick Vujicic: un esempio vivente di cieco nato per dare gloria a Dio
Conclusione
A prescindere dalla caduta di Adamo, la vita terrena è il luogo dove siamo chiamati a relazionarci col Padre, in un contesto dove un figlio di Dio dotato di libero arbitrio e di una coscienza può sperimentare le proprie azioni sbagliate e fatte nella disobbedienza, verificando che hanno subito un riscontro immediato. Sia le gioe che i dolori, se viste nella prospettiva dell’eternità, sono un’opportunità per imparare ad essere dei figli di Dio. Ogni sofferenza permessa da Dio può diventare un’opera del Signore, come nell’esempio del cieco nato. Ma se il dolore resta un pretesto per rifiutare il bene o cedere al vittimismo si trasforma in un’emorragia spirituale. Ossia, un inganno che ci impedisce di capire il senso della nostra storia.

Mirai, Yūki e Mari, i tre personaggi principali di “Tokyo Magnitude 8..0”, tra lutti, avversità e perdite scopriranno che è proprio nei momenti di grande difficoltà che siamo chiamati ad amare e, quindi, a dare un senso alla nostra vita
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