Westworld e il finale gnostico
L’origine della coscienza e i dubbi esistenziali
L’origine della coscienza è il tema profondissimo che viene affrontato nell’ultimo telefilm di successo targato HBO, riadattamento de “Il mondo dei robot” di Michael Crichton secondo una narrazione più veloce e incalzante. La serie di Crithton, come lo sono state gran parte delle sue opere, tra cui il famoso “Jurassic Park”, hanno alimentato la narrativa, il cinema, degli ultimi quarant’anni. Dunque non poteva mancare l’argomento dell’intelligenza artificiale e della questione più complessa della coscienza.
Cos’è la coscienza?
“Westworld – Dove tutto è concesso” tratta quasi esclusivamente di questo tema: cosa ci rende reali? Esistiamo davvero o siamo solo parte di un meccanismo o, addirittura, di un gioco? La domanda su cui filosofi, teologi e studiosi hanno versato fiumi di inchiostro è qui usata per raccontare in modo corale la storia di numerosi personaggi sia umani che androidi. Tutti con un conflitto esistenziale che porta nella medesima direzione: cosa ci rende reali e perché esistiamo? Il tema della storia è sia nell’opera originale di Crichton che nel telefilm di Jonathan Nolan (fratello del famoso regista) volutamente rivolto alla prima parte della Genesi e al perché delle religioni. Nell’opera originale un serpente robot con il suo morso – metaforicamente e realmente – morde alcuni androidi che vengono infettati dal “virus” della coscienza che, così, provoca una rivolta delle macchine – ora senzienti – contemporaneamente in tutte le zone del parco, come riferimento al linguaggio ermetico del libro della Genesi. Nel telefilm di HBO l’argomento viene del tutto palesato dal dialogo tra Dolores Abernathy e il dott. Robert Ford sul celebre affresco di Michelangelo: la creazione di Adamo.
Io o Dio?

Davanti all’opera di Michelangelo, Ford spiega a Dolores la sua interpretazione gnostica della Genesi
Innanzitutto viene mostrato uno dei messaggi subliminali più clamorosi della storia, dove il famoso artista del RinascimentoTermine di per sé coniato per indurre a interpretazioni della storia ben precise. apparentemente fa coincidere l’immagine di Dio Padre con la ragione (umana?), racchiusa nella sagoma di un cervello. Per l’umanità tale fraintendimento sarà davvero uno spartiacque filosofico, l’inizio del pensiero moderno. Gli esseri umani ripetono lo stesso errore concettuale commesso da Adamo, il primo uomo, ma con maggiore intenzionalità:
Io sono il mio Dio… o quanto meno non posso escluderne la possibilità.
Non è infatti confortante porre l’uomo in modo centrale e definitivo. È la tragicità dell’umanesimo, quando la ragione dell’uomo si scopre insufficiente a risolvere il mistero del male. Non c’è veramente un protagonista in “Westworld”, ma la cosa che più ci si avvicina a tale ruolo è il personaggio di Dolores. Il nome del personaggio è di per sé la chiave di lettura con cui si cerca di risolvere il conflitto: “sono perché soffro.” Tormentosa spiegazione: esisto realmente nel momento in cui realizzo di soffrire. Tiè! Peggio di così… Gli androidi di “Westworld” ottengono la ragione attraverso un programma di ordinazione dei ricordi detto “rimembranza”, che da un ricordo traumatico ottiene la coscienza. Nei fatti si sostiene che il dolore è la ragione per cui esiste l’unicità dell’essere. Per carità, non c’è errore nel dare alla sofferenza una collazione importante, essendo innegabile la sua presenza, ma è porre ciò come ragione ultima per cui, oltretutto, “accidentalmente esistiamo” che riconduce all’errore di fondo. Ed è qui che entra in scena la filosofia della quasi totalità degli scrittori di fantascienza: “il trascendente ci sarà pure, ma solo come risultato di un’evoluzione deterministica e materialistica.” Il mare in un bicchiere d’acqua non ci può entrare! Dunque o non esiste il mare o, se c’è, è più piccolo. “Westworld” ripropone la domanda delle domande in maniera stupefacente per la bravura di Nolan e per l’intreccio narrativo messo in scena, ma offrendo una risposta tristemente razionalista.
Dio esiste? Sì, sei tu! Quindi… non c’è!

Beh, che Dolores (Evan Rachel Wood) ci resti un po’ male, detto tra noi, è comprensibile! L’unica certezza, a quanto pare, è per lei quella della solitudine…
È tutto qui il percorso che i vari personaggi androidi affrontano, misurandosi con i loro creatori. Sì, ce ne sono due: uno buono e uno cattivo, almeno all’inizio, nella classica tradizione gnostica. Il creatore buono, Arnold, ha addirittura un conflitto personale legato alla perdita di un figlio: il dolore che cerca di sublimare lo porta alla creazione di Dolores e della coscienza artificiale, ma il suo socio e collaboratore nel momento in cui realizzano di aver raggiunto lo scopo – macchine senzienti – hanno una profonda divergenza sull’utilizzo degli androidi all’interno di un parco dei divertimenti. Essendo non oggetti ma esseri veramente dotati del libero arbitrio, Arlond decide di non farne uso. Ford però non comprende lo scrupolo morale del collega e impone ad Arlond di proseguire nel progetto. Arnold, come tradizione gnostica insegna, tenta di eludere la questione suggerendo a tutti il suicidio. Lui è il primo a “immolarsi”, costringendo Dolores a ucciderlo davanti a tutti nella speranza che questo basti a mettere in luce quanto siano “pericolose” le intelligenze artificiali.

Dolores scopre l’origine della misteriosa voce che la guida verso il centro del labirinto…
Ford comprende l’errore, ma ormai è troppo tardi… e deve, così, recitare i panni del villain per escogitare una via di fuga per gli androidi, di cui per gran parte del telefilm appare come il nemico. In realtà ne rappresenta l’unico alleato. La figura del diavolo come segreto alleato per poter fuggire dalla creazione di un demiurgo cattivo, che alla fine non è più Ford ma l’intera specie umana, è un altro elemento gnostico che ritroviamo in questa serie. L’umanità è, come sempre, mostrata come il vero problema. “Westworld” è un capolavoro narrativo, ma in realtà non ci mostra nulla di nuovo, la morale della favola è sempre la stessa: siamo cattivi e non c’è un motivo in particolare, ma chi verrà dopo di noi sarà certamente meglio. Quindi, i robot sono senz’altro già avanti rispetto a noi. Oppure, altra chiave di lettura gnostica tratta dalla Bibbia: un profeta illuminato deve risvegliare e trarre in salvo il popolo degli eletti dalla tirannia dispotica in cui si trova. È l’Esodo riletto senza umiltà. Dolores, dopo essere stata iniziata da Ford, diviene come Mosè, o potrebbe esserlo nella seconda stagione prevista per il 2019, ma si differenzia da quello biblico in quanto si scopre come profeta solo quando si sostituisce a Dio.
Siamo davvero orfani?
Ossia la verità esiste, e cercare di comprenderla è legittimo, ma il dubbio alla radice del pensiero moderno, cominciato con Cartesio (la possibilità di esistere senza Dio), è un inganno.
Quelle presenti nella fantascienza sono interpretazioni dettate da fraintendimenti comprensibili, dovuti ad almeno due ragioni diverse. La prima è l’incapacità di saper leggere ogni storia, incluse quelle bibliche, all’interno di un discorso di relazione. Non ha importanza “chi”, “cosa”, “dove” e “quando”, se non si parte dalla premessa del “perché”. Qualsiasi lettura ne risulta viziata. L’uomo è relazione con Dio. La seconda è che nonostante si sia offerta una visione filosoficamente e teologicamente corretta, persiste la sensazione che ci sia un demiurgo cattivo che non ci ha veramente creati per il nostro bene. Il dramma del demiurgo buono (Arlnond) che è tale per la perdita del figlio, porta “Westworld” a focalizzare il problema della non comprensione del peccato originaleSi tratta del peccato commesso da Adamo che ha deturpato la natura umana.. Se è vero che siamo stati creati per il bene, cosa ci ha resi così “brutti e cattivi” e incapaci di Dio? Perché soffriamo così tanto?
Il loop a cui anche noi, come gli androidi di “Westworld”, siamo soggetti è tutto lì: è tutta una metafora? Quella della conoscenza, del capire, è un’esigenza umana che se si separa dalla superbia di comprendere ad ogni costo qualcosa, è più che legittima. Senza pragmaticamente entrare nel racconto della caduta e nelle questioni tecniche per cui l’uomo è strutturalmente difettato, ci si allontana dalla risposta. Il nemico è il diavolo, non c’è alcun dubbio. Altro elemento su cui non si discorre più, perché non trova una sua collocazione nella realtà, in quanto il racconto viene ridotto ad una metafora.
Ma la coscienza artificiale è possibile?

Il personaggio di William cade nel più totale nichilismo dopo la sua disavventura con Dolores. L’idea che lo fa impazzire è che si sia innamorato di un qualcosa che non è reale
“Westworld”, ovviamente, a tale domanda risponde con un sì, possiamo creare la coscienza artificiale, perché pone la coscienza umana all’interno di una realtà puramente immanente e materialista. In pratica, come gran parte delle opere di fantascienza, ciò che realmente si affronta non è la possibilità della creazione di una coscienza artificiale, ma il ridurre l’uomo a un mero meccanismo, nato oltretutto in modo “accidentale” se si crede in determinate ideologie scientifiche. Se l’uomo, per quanto sia intelligente e apparentemente “spirituale”, è solo un pezzo di carne privo dell’anima o della possibilità di entrare in relazione con il Creatore, in pratica stiamo affermando, anche piuttosto esplicitamente, che qualsiasi intelligenza artificiale sarebbe, de facto, meglio del genere umano. Ecco perché, da un po’ di anni a questa parte, ci sono sempre più persone che realmente credono che il TransumanesimoCredere che il bene dell'uomo sia una trasformazione post-umana con l'uso di tecnologie che ci permettano di abbandonare la nostra natura biologica. potrà essere una soluzione, e che l’uomo debba salvarsi da solo con le proprie conoscenze.
L’incubo pieno di déjà-vu e traumi, in cui sono catapultati Dolores, Maeve, Teddy e gli altri androidi è, in fondo, lo stesso della vita umana se ci si proietta in un realtà dove tutto quello che conta è l’attimo presente, l’attuale benessere, e non le relazioni umane che siamo capaci di stabilire nell’ottica dell’eternità. In un mondo dove non c’è alcun Gesù Cristo che ci offra la salvezza, alcun vero scopo che per cui vivere, alcun Dio con cui stare in relazione, non resta che la frustrazione del dolore e il senso di prevaricazione su cui, sicuramente, si baserà la seconda stagione di “Westworld”.
Conclusione

Nella locandina, un androide nella posizione umana che ricorda un pentalfa… tanto per non equivocare il tema della serie
Andando al di là dei soliti sgravi della HBO, cioè scene di sesso e violenza gratuite, “Westworld – Dove tutto è concesso” resta un’opera impeccabile sul piano tecnico, raccontata in maniera magistrale, che riconduce al problema di sempre: perché soffriamo e siamo feriti nel profondo se Dio è buono? E chi può salvarci? Le risposte restano fedeli alla filosofia dell’autore: siamo soli, quindi diamoci da fare, diventando un dio. Un finale che ci lascia nel nichilismo più puro e che rattrista un bel po’.
Commenti da facebook
19 Gennaio 2017
Un articolo bellissimo.
Grazie di cuore : )
22 Gennaio 2017
Grazie di cuore! Mi fa piacere sapere che questa riflessione su “Westworld” possa aver dato spunti utili su cui riflettere.
17 Febbraio 2017
Bellissima recensione… Tuttavia non credo che la guarderò, mi mette troppa angoscia anche pensare che un giorno tutto questo possa avverarsi! Grazie lo stesso per i tuo spunti.