Silence – Recensione
Che senso ha il martirio?

Andrew Garfield interpreta il combattuto Padre Sebastião Rodrigues
Questa è la domanda a cui cercheremo di rispondere, o meglio, di darvi spunti per farlo. Non è facile, ma almeno ci proviamo. Premettiamo che “Silence” è un film che ha suscitato diverse reazioni e vedute tra i nostri amici, cattolici e non, perché è un film che apre molti interrogativi esistenziali. Ma per fare una battuta, finendo di guardare “Silence” mi sono chiesta ironicamente, se in fondo il titolo “Silenzio” non fosse un invito a tacere e farsi i fatti propri invece di evangelizzare (della serie, fatti gli affari tuoi che campi cent’anni…come infatti vedremo). Ovviamente in questo film c’è molto di più di questo, sia in bene che in male. Quindi ecco a voi la nostra recensione.
La trama
Siamo nel Giappone del XVI Secolo, i cristiani sono banditi dal paese e i giapponesi di fede cattolica sono perseguitati violentemente dallo Shogunato Tokugawao, in particolar modo un terribile inquisitore si è affacciato in Giappone, tale Inoue. È in questo contesto storico che è ambientato l’ultimo film Martin Scorsese tratto dall’omonimo romanzo di Shusaku Endo, che narra la storia di due preti gesuiti, Padre Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Garupe (Adam Driver), che partono alla ricerca del loro mentore, Padre Ferreira (Liam Neeson), di cui si sono perse le tracce e che si vocifera abbia addirittura abiurato la fede cattolica. I due Gesuiti vanno quindi alla sua ricerca incuranti del pericolo che sanno che li attende.
Un film su cui riflettere
Sicuramente “Silence” non è un film immediato, si potrebbe dire una lenta introspezione del personaggio principale di Padre Rodrigues, e questa scelta, voluta o meno, lo rende in ogni caso un film difficile, con lunghi tempi morti. Solo verso la fine del film si inizia ad avere chiaro il forte messaggio ideologico di cui è permeata la pellicola e attraverso il quale lo spettatore avrà la chiave (della visione di Scorsese) per rileggere tutto il resto della storia. Messaggio che secondo noi pone diverse domande: in un paese in cui ci sono altre culture ed in cui portare la fede significa far ammazzare tutti, è giusto o no testimoniare? Non è meglio credere in silenzio soffrendo per salvare gli altri, invece di evangelizzare con un presunto atto di superbia? Sicuramente interessanti e profondi interrogativi su cui riflettere, al di là della risposta di Scorzese, che vedremo.
La lotta interiore di padre Rodrigues
Questo film è tutto un combattimento spirituale dentro Rodrigues, un dover discernere tra la voce propria, la voce del mondo, la voce del maligno (che usa quella del mondo e ci si mischia), e la voce di Dio… e per questo si chiama “Silenzio”, perché pare non esserci, o sembrano esserci solo tutte le altre.
L’inquisitore ed il suo interprete, un tempo cattolici per vantaggio politico, si potrebbe dire riassumano le voci del maligno e del mondo, e questo non solo perché ragionano secondo gli uomini, ma perché mischiano la verità alla menzogna. L’inquisitore è scaltro e sa perfettamente che i sacerdoti sono le “radici”, il motivo per cui esistono i cristiani in Giappone, è per questo che li tortura psicologicamente, e a dirla tutta forse anche con le sue ragioni, perché un altro tema fondamentale del film è la superbia che spesso esce fuori nei due missionari. Tutte le risposte accademiche che dà ai suoi persecutori sono tanto vere quanto asettiche, prive di contatto umano con chi ha davanti. C’è un continuo parallelo tra tre personaggi nel film: Cristo-Rodrigues-Kichijiro. Rodriguez sente il silenzio di Dio, quello che Cristo sente sulla croce, e disprezza la continua apostasia di Kichijiro. Rodrigues è così ossessionato dall’avere la risposta di Dio, da dare lui stesso troppe risposte. Cristo davanti al sinedrio ed a Pilato non tenta di dimostrare di avere ragione, ma di entrare in relazione, anche sotto le calunnie dei suoi persecutori, ecco perché vince la lotta nel Getsemani (da leggere in merito “Leggenda del grande inquisitore” ne “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij). Rodrigues invece in quella lotta ci sta, ma sempre in bilico, tenta di dimostrare di avere ragione, gioca tutto su una Verità che sembra essere smentita dalla realtà, e alla fine dal suo Getsemani ne esce apostata. È per questo che ringrazia Kichijiro di esserci, perché ora è come lui, crede in Dio ma rimane in quella condizione, rimane nella caduta.
È proprio nel dialogo tra Rodrigues e l’inquisitore e con il ritrovato padre Ferreria (realmente apostata), che si gioca tutto il film, in particolare sull’accusa verso il prete: se la gente muore è colpa sua. La tortura dei poveri fedeli, nonostante la presunta abiura di quest’ultimi, potrà avere fine solo se anche lui stesso abiurerà. Questa infatti la scena clou del film: la figura di Cristo gli dice di apostatare: “Calpesta” dice l’icona. Tutto con la cornice di un pensiero maligno “è colpa tua se quei giapponesi moriranno” …ma è davvero così?

Padre Rodrigues, circondato dall’interprete dell’inquisitore e da padre Ferreira, nella fase più importante del suo conflitto interiore.
Sveliamo l’inganno
Se è davvero Cristo che gli dice di apostatare, allora Endo ha, cristianamente parlando, fallito nel mostrare la fede (sempre che fosse quello il suo intento, intendiamoci!). Mi spiego meglio. Tutto il dialogo prima dell’apostasia, verte sul convincere Rodrigues che è colpa sua se loro moriranno, che muoiono per lui (non per Dio!), anzi che Dio non sta facendo nulla, ma lui può! Sta qui il grande inganno per Rodrigues: credersi il salvatore. Mi è risuonato in testa il passo del Vangelo in cui dicevano a Gesù “se scendi dalla croce ti crederemo”; ma Dio deve rimanere in silenzio a volte, perché il silenzio va attraversato in tutto il suo orrore, per capire che di fronte ad una croce non possiamo capire, solo fidarci. Loro invece convincono Rodrigues che solo lui può aiutarli, che la responsabilità è solo sua. Ma finché fosse questo sarebbe solo la logica del mondo. La logica del maligno fa fare un passo ancora oltre ai persecutori, fa convincere Rodrigues che non solo le loro vite dipendono da lui, ma che addirittura il suo non voler apostatare è un atto egoistico, che così facendo pensa solo a se stesso ed alla sua salvezza, che sarebbe più cristiano peccare e soffrire per il proprio peccato per salvarli, perché se Cristo fosse stato lì avrebbe fatto lo stesso.
Calpestare l’icona è un atto privo di senso? Ovviamente è un atto simbolico, meno irruente di altri, e per questo più subdolo, in quell’atto c’è la privazione della libertà, oltre che il rinnegare Cristo. È vero che di fronte alla minaccia di morte di altri per colpa tua non si può banalizzare nessun tipo di scelta, ma questo non significa che l’atto in sé sia effettivamente giusto.
Quindi ci chiediamo: Davvero Dio preferisce il martirio silenzioso al rinnegamento che però salverebbe altre vite?
Fino a che punto, sembra chiederci il regista, è lecito seguire Dio, portare la verità (se verità è), se così facendo rechiamo sofferenza agli uomini? Scorzese e con lui Endo, sembrano convinti che la sofferenza che subiscono i martiri della fede sia colpa della pretesa di portare il messaggio del vangelo in un paese la cui cultura è assai differente, piuttosto che di chi perseguita e fa calpestare attraverso quel gesto simbolico l’icona sacra, e quindi la fede e la libertà religiosa.
Ecco, è qui che fallisce il messaggio dal punto di vista della fede, tutto si perde in un’ottica meramente orizzontale, qui si è perso Ferreira prima e si perde Rodrigues poi: la superbia di credere che salvare la vita terrena di quelle persone stia solo a lui, che tutti gli altri, Ferreira ed i persecutori, non c’entrino, che non abbiano responsabilità personali, che la salvezza dell’anima non sia al di sopra di quella del corpo. Che Gesù Cristo non abbandoni mai Rodrigues nell’apostatare è ovvio, perché Dio non abbandona mai nessuno, ma credere che Rodrigues non abbandoni Dio solo perché sta salvando delle vite, questo è totalmente falso. Dio non ti dice di scendere dalla croce, Dio te la toglie semmai, ma se non te la toglie? Se il tuo compito fosse rimanerci? Potrà mai chiederti Dio di rinnegarlo per salvarti o salvare qualcuno? Poteva Cristo salvarci con un atto di potenza che corrispondesse alle nostre forze, alle nostre aspettative invece di morire e rompere i nostri schemi? Rodrigues non è un martire nascosto, è un apostata che soffre della sua apostasia in silenzio, ma che ne è anche ingannato, credendo appunto di aver salvato delle vite.
Conclusione
Alla fine il rischio di questo film è di crearsi una salvezza totalmente umana e di far pensare allo spettatore che non ha senso evangelizzare un posto dove le persone verranno uccise per la fede -ergo è colpa dei missionari se i giapponesi sono morti martiri-. Che poi è proprio ciò che dice l’inquisitore… ed ha pure ragione! Sì, perché purtroppo in un ottica umana questo ragionamento non fa una piega, se non esiste qualcosa di più grande della vita e della morte, qualcosa per cui vale la pena soffrire e morire, allora perché vivere la croce?
Questo è il punto del film: si evita una croce terribile, ma proprio per questo non si assiste a nessuna resurrezione. Certo, il personaggio di Rodrigues in parte si ridimensiona (forse proprio perché è caduto?), molto bello quello che dice verso la fine, che sente Dio nella realtà concreta, lo vede intorno a lui, anche in quel suo vivere la fede solo interiormente, ma purtroppo stride con il suo continuo rinnegare, quasi meccanico. La sua rimane una vita tronca. Rimane in vita si, ma per cosa? Per quanto si voglia dipingere per nobile il suo gesto, io credo che di fronte a Mokichi che muore cantando affogato in croce (immagine che torna nel crocifisso dell’ultima scena), crolli completamente ogni argomento in favore del suo atto di apostasia.
Sì, perché gli unici che nel film riescono a rappresentare la fede per intero, che va oltre le sofferenze terrene, sono i contadini cristiani. Loro poveri e miseri, avevano accolto i Padri gesuiti con una cura ed una gioia commoventi, perché vedevano davvero i sacerdoti come noi non siamo più in grado di vedere, come li vedeva San Francesco d’Assisi “Se io incontrassi un sacerdote ed un Angelo, saluterei prima il sacerdote e poi l’Angelo, coloro che portano Cristo“, diceva. Loro, seppur umani e fragili arrivano a calpestare il fiume, quando però viene chiesto di sputare sul crocifisso e bestemmiare la Vergine Maria proprio non ci riescono, arrivando a morire legati in croce in acqua, una morte lenta per annegamento, fame e sete. Mokichi il contadino che canta sereno nonostante la sofferenza a cui è sottoposto, è l’immagine più vera del cristiano in tutto il film. Quel canto, nonostante la sofferenza patita rappresenta il fatto che, come è avvenuto con i molti martiri e santi della Chiesa, la fede in Cristo è capace di dare una gioia che va aldilà della sofferenza fisica e morale. Nel libro c’è una domanda che riecheggia nella mente di Rodrigues di fronte alle continue apostasie di Kichijiro. Inizia a dirsi che ci sono due tipi di uomini al mondo: i codardi e gli eroi. La domanda che vi lasciamo per concludere la recensione è questa: il martirio riguarda davvero il farcela o non farcela a morire martiri? Dipende davvero da quanto siamo capaci noi a morire per amore verso Dio? Ovviamente qui faremo “silenzio” sulla risposta.
(Questo articolo è stato scritto a quattro mani, per l’esattezza: Blanche Princesse e Tsukimi Robin. A presto! )
Commenti da facebook
17 Marzo 2017
Care Blanche Princesse e Tsukimi Robin, grazie di cuore!
Avete saputo dipanare la mia inquietudine su questo film, per la quale io proprio non riuscivo a trovare le parole.
Un abbraccio
22 Marzo 2017
Grazie a te
27 Marzo 2017
Io al film di Scorsese rispondo con un altro film, che ha trattato il medesimo tema, ma ha saputo farlo nel mondo più profondo possibile: il martirio di José Sánchez del Río (Cristiada) https://www.youtube.com/watch?v=3GnLrNBbhKg