Quando i Giochi di Ruolo ti spiegano la vocazione
Scoprire se stessi giocando ai GdR
I Giochi di Ruolo si rivelano particolarmente interessanti per la scoperta di se stessi e per esprimere un concetto che spesso il mondo cattolico fa molto fatica a spiegare ai non credenti: la vocazione. Possiamo essere ciò che vogliamo? O forse la vita è finalizzata a portare a galla ciò che siamo davvero a prescindere dall’immagine che vogliamo appiccicarci addosso? La risposta proviamo a darcela creando un personaggio di un qualsiasi GdR fantasy con un pizzico d’immaginazione.
1. Razza

Le razze giocabili del mondo di “Dragon Age“, valutando che ne esistono molte altre solo come personaggi non giocanti
Scegliere la razza (nano, elfo, hobbit, orco, ecc…), o addirittura la specie (creature che non hanno nulla di umano, come uomini lucertola, driadi, elementaliCreature fatte di uno dei quattro elementi della natura: acqua, aria, fuoco e terra., ecc…) è il primo passo da fare per la creazione di un personaggio giocante (PG). Si deve quindi fare il primo importante passo: ammettere il patrimonio genetico (la natura) del proprio personaggio, la sua appartenenza biologica, perfetta o limitata che sia. Non c’è la possibilità, salvo elementi sovrannaturali devastanti, di ritrovarsi a cambiare “razza” durante il gioco. Questo primo importante passo, capire se siamo del popolo dei Nani o di quello degli Elfi, cambia radicalmente le proprie possibilità. Alcune cose, c’è poco da fare, un elfo può farle ma un nano no! E viceversa…
2. Sesso

La bellissima Saber di “Fate/stay night“, un perfetto esempio di “paladina”
Subito dopo si deve stabilire il sesso, ovvero maschio o femmina (Gn 1, 27). Al di là delle possibili inclinazioni sessuali che si potrà far sviluppare al personaggio, di base questo elemento è, ovviamente, determinante. Non si può dire al Game Master, “aspetta non lo so, deciderò il sesso più avanti” o, “va bene adesso faccio il maschio nano, ma poi più avanti, forse, diventerò un elfo donna.” Si parte dal presupposto che la sessualità sia qualcosa di fondamentale per la struttura del personaggio e che tale caratteristica non sia normalmente “modificabile”. Un esempio tra tutti: la cintura del cambiamento di sesso in “Dungeons & Dragons” era inizialmente percepita come un oggetto maledetto, da far indossare ai propri compagni d’avventura per dispetto. Era, nelle prime edizioni di D&D, a tutti gli effetti un “cursed item”. Tuttavia, anche applicando di proposito tale item al proprio personaggio, persiste un de facto: resterai un maschio divenuto femmina. O meglio, ora sei una bella guerriera amazzone che si fa chiamare Isotta, mentre prima eri il cavalier Romualdo spaccatutto; e per tutti resterai, almeno in origine, maschio. L’identità sessuale fa parte della storia del tuo PG! Pure volendo applicare una terza opzione, per dirne una, l’ermafrodita per il mio nano guerriero, la scelta è definitiva fin dall’inizio. E, non è secondario come fattore, perché solitamente i nani non sono ermafroditi! XD
Altro errore in cui non cadere: se sei nano i tuoi gusti sessuali saranno quelli di un nano! Detto in parole povere un elfo che si innamora di un nano fa ridere, almeno nella Terra di Mezzo. Sì, la mia è una frecciatina a quella robaccia prodotta da Peter Jackson a cui hanno appiccato il nome de “Lo Hobbit“.
3. Classe
Ovvero, la professione. Nei giochi di ruolo più tradizionali, quali D&D, si sceglie da subito le abilità del personaggio, ciò che sa e non sa fare, e il suo ruolo all’interno del gruppo di eroi o protagonisti della storia. Tuttavia, anche nei GdR più realistici e meno ancorati ad archetipi obsoleti che limitano il gioco in precisi stereotipi, il personaggio resta comunque costretto a scegliere una direzione. Tale scelta è dettata da un altro passaggio importante: gli Attributi del personaggio, o “Caratteristiche”, che pragmaticamente stabiliscono quali abilità o skills il personaggio saprà padroneggiare meglio di altre. Ma facciamo anche in questo caso un banale esempio: voglio fare il guerriero, ma ho scelto un personaggio – la cui razza determina parte degli attribuiti – che ha Forza 4 su di un punteggio che va da un minimo di 1 a un massimo di 10. Beh, ne deriva che sarò un guerriero piuttosto debole… Ho tuttavia Agilità 6 e Intelligenza 8. Questo mi dice che il mio personaggio è indirizzato verso le abilità legate a questi due attributi. Quindi mago o ladro se ci trovassimo nel più classico dei GdR fantasy alla D&D.
In quest’aspetto i GdR insegnano una cosa importante: non possiamo ignorare i nostri pregi e difetti o svenderci per aderire ad un’immagine che vorremmo appiccarci addosso. “Ma i guerrieri sono fighi!”, si potrebbe obbiettare… Il punto però è un altro: se il tuo personaggio è nato per il fare il mago, beh, significa che il suo essere “figo” è quello. Lascia il resto al coatto del gruppo e vedrai che ti divertirai di più.
3.5 Multiclasse

Gandalf fa uso di una spada, Glamdring, ma resta senza alcun dubbio principalmente uno stregone (uno dei cinque Istari)
I più scafati dei GdR potrebbero però controbbattere ricordando semplicemente l’esistenza dei cosiddetti “multiclasse” o dei personaggi più versatili, che sanno fare un po’ tutto. Anche in questo caso il discorso non cambia. Nell’esempio di sopra, Agilità 6, Forza 4 e Intelligenza 8, sarebbe possibile fare in modo decente un personaggio mago-ladro, ma sempre a discapito di qualcosa (furtività o magia). Si potrebbe tentare di scegliere delle abilità non propriamente legate agli attributi più alti, ma si tratterebbe di imparare a scoprire ulteriormente i limiti del proprio PG: se scelgo abilità legate alla Forza, in cui il mio PG è carente, sarebbe comunque un cercare di forzare la natura del mio personaggio. In un’ottica “Power PlayGiocare solo per avere un personaggio forte e sgravato.”, nessuno sceglie abilità inutili per il proprio PG. Nella prospettiva più sana del “giocare di ruolo” e basta, senza ridurre il PG ad una serie di valori numerici da far crescere, se si è scelto di interpretare un cavaliere o un paladino, beh, cercare di fare altro tanto per essere “più forti” o “versatili” non ha pressoché senso.
4. Il gruppo di avventurieri

Il gruppo di eroi per eccellenza: La Compagnia dell’Anello
Nei GdR si gioca soprattutto nell’ottica del cosiddetto “party” o gruppo di eroi che insieme devono portare a compimento una Quest: il raggiungimento di un obiettivo grande ed importante, che si rivela in un modo o nell’altro fondamentale per tutti a prescindere dalle differenze di razza, classe, ecc… Un po’ come ne “Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello” di J.R.R. Tolkien, da cui Gary Gygax trasse l’idea geniale dei Giochi di Ruolo su carta a partire da “Dungeon & Dragons” nel lontano 1971. L’idea di base che si ripete da sempre anche nella letteratura e nel cinema dedicato all’epica e all’avventura, è che il raggiungimento della Quest diventa possibile esclusivamente nel momento in cui tutti personaggi chiamati in causa aderiscono al proprio ruolo. Da qui anche l’inutilità del voler fare il guerriero quando nel mio gruppo ho altri amici che hanno già scelto di fare solo quello. Nel tipico gruppo di avventurieri creati con un po’ d’intelligenza, prima di iniziare a giocare tutti scelgono un ruolo ben preciso in vista delle possibili difficoltà che si presenteranno nel corso dell’avventura. Chiaramente il Game Master (Dio!) costruisce l’avventura anche in base ai ruoli rivestiti dai PG e se mancherà un chierico nel gruppo vorrà dire che nei tesori ci sarà qualche pozione dalla guarigione in più! Questa è una semplice spiegazione del concetto di Provvidenza: Dio ci conosce e partecipa alla nostra storia, valorizzando l’unicità del nostro essere ed operando nei nostri limiti. Solo così avviene la scoperta della vocazione, ovvero delle ragioni per cui siamo stati immaginati da Dio in un determinato modo. Tutto ciò è possibile solo stando in relazione con gli altri. In questo i GdR si rivelano preziosi, perché concretamente spiegano l’importanza del rimanere fedeli a se stessi e dello scoprire chi siamo, non per mero individualismo od egocentrismo, ma per il bene comune.
Nella maggior parte dei casi, e lo dico come uno che ha fatto il Game Master per otto anni di fila (❗), un gruppo di avventurieri fallisce il raggiungimento della Quest – cioè, muoiono tutti! – nel momento in cui il chierico non cura, il guerriero non si mette in prima linea, il mago non lancia la magia più utile al gruppo, il ladro non gioca più in modo furtivo e il bardo non canta le gesta dei suoi compagni. Mancare la vocazione è fallire la quest a discapito non solo nostro, ma anche di chi ci sta più vicino.
5. L’ambientazione

Per fare un esempio, Tolkien non considerava la Terra di Mezzo un luogo immaginario o alternativo alla nostra realtà, ma faceva parte di Arda, “terra” in elfico; e rappresentava un’Europa ancestrale di cui oggi abbiamo perso memoria. Per l’esattezza, noi siamo tra la Sesta e Settima era del nostro mondo
Si tratterebbe, in realtà, di una cosa da stabilire prima della creazione del personaggio. Tuttavia la tratto adesso perché per poter veramente interpretare un nano della Terra di Mezzo occorre davvero aver visto com’è l’universo di Arda. In pratica, il gioco è dettato da fondamentali risposte esistenziali che tutte insieme creano la cosiddetta “cosmogonia”, che determina il tipo di ambientazione. Non si può giocare nei panni di un elfo ateo nella Terra di Mezzo, essendo scontata l’esistenza di un’origine divina nella mitologia de “Il Silmarillion“. Né si può mettere un San Patrizio che sconfigge i cultisti malvagi a suon di miracoli divini nel mondo de “Il richiamo di Cthulhu“, dove il bene semplicemente non esiste.
In questo si capisce il principale motivo d’incomprensione tra credenti e non, cristiani e non cristiani, ecc…, ossia, quando si parte da premesse troppo diverse per poter decifrare la realtà nello stesso modo. Nemmeno il metodo scientifico è una soluzione, essendo quest’ultimo solo un protocollo di analisi per meccanismi ordinari a cui hanno accesso i nostri limitati sensi. Ridurre tutto alla “Scienza” è pur sempre un credo. Pure su questo fronte i Giochi di Ruolo offrono un interessante spunto di riflessione: in quale ambientazione credo di trovarmi? Sono in “Star Trek” o “Star Wars“? Mi trovo in un fantasy o in un fantascientifico? Tutti, piaccia o no, abbiamo una profonda convinzione in tal senso e non possiamo ritenerci privi di una visione “religiosa”. Anche un ateo convinto di trovarsi in “Star Trek”, eh ideologicamente parlando (❗), ha il suo credo e le sue convinzioni esistenziali.
Conclusione
Interpretando un personaggio in un gioco di ruolo finiremo per scoprire qualcosa di noi stessi. I giocatori più bravi, anche solo inconsciamente, tireranno fuori un lato nascosto di sé. Potrai scegliere di giocare il paladino, ma non rappresenterai un cavaliere senza macchia qualsiasi, ma la tua più intimità idea di quell’archetipo. Emergeranno anche i limiti culturali e umani del gruppo in cui giocherai, a partire dal Game Master, da come gestirà il gioco e descriverà l’ambientazione. Inutile dirlo, se sei in un gruppo di immaturi o disagiati, il Power Play avrà il sopravvento. Se il Game Master crede davvero che il Medioevo fu un periodo di buio ed ignoranza o pura violenza, che ti piaccia o no, ti ritroverai catapultato nei Sette Regni de “Le cronache del ghiaccio e del fuoco“.
Detto in altre parole, i Giochi di Ruolo ti aiuteranno a scoprire chi sei, la cosiddetta “vocazioneLa ragione ultima per cui sei stato messo in questa vita, che senz'altro approfondiremo in un altro articolo.“, e a conoscere meglio anche le attitudine dei tuoi compagni di gioco.
Commenti da facebook