Undertale – Recensione
Combattimento senza violenza… possibile?!
Chiunque sia cristiano, o come minimo ideologicamente pacifista, e sia anche un grande appassionato di videogiochi, ha sempre dovuto affrontare un (non poi tanto) piccolo dilemma morale: è giusto divertirsi con giochi che spesso fanno della violenza il loro fulcro, o che comunque ne hanno a bizzeffe senza poi manco condannarla?
Dubbi morali
Questa questione è ampia e merita una trattazione specifica, da una parte è ovvio che per una persona stabile mentalmente c’è una bella differenza tra lo spappolare demoni in “Doom” e compiere violenze nella realtà, ma al contempo è ingenuo pensare che non si sia un minimo influenzati dalle opere di cui si fruisce. Questo a maggior ragione in giochi come i vari sparatuttoGiochi dove l'azione principale consiste nello sparare contro avversari in movimento. bellici alla “Call of Duty” che raffigurano in modo altamente realistico (o almeno ci provano) guerre reali come quelle in Medio Oriente semplificandone però pericolosamente l’aspetto morale, creando il mito dell’“eroico soldato” che combatte contro i “terroristi cattivi” quando in realtà le cose sono ben più complesse ((sulla pericolosità di questo mito sarebbe bello anche scrivere un altro articolo in futuro, Stay Tuned ;) ).
Ma tralasciando se questa violenza digitale sia poi un grande male o meno, facciamoci un’altra domanda: è possibile, in generi tradizionalmente basati sulle battaglie come gli RPGRole-Playing Game, ossia Gioco di Ruolo in inglese., gli sparatutto o i giochi d’azione, creare nuove forme di gameplay che non valorizzino la violenza, ma che anzi premino il giocatore che cerca un approccio pacifico alla risoluzione dei problemi?
Uccidere o… nascondersi in una scatola!
Un primo grande nome che ha fatto notevoli passi in avanti in questo senso è stata la saga di Metal Gear Solid: se già dai suoi esordi su MSX la serie di Hideo Kojima ha proposto un gameplay nel quale sgattaiolare alle spalle dei nemici senza farsi notare era preferibile ad ingaggiare battaglia, a partire dai capitoli per PS2PlayStation 2., e in particolare in “Metal Gear Solid 3” (per molti il capolavoro indiscusso della serie!), il buon Big BossUno dei sopranomi del protagonista. poteva anche stordire i nemici tramite proiettili ai tranquillanti o prendendoli alle spalle (azione che nei giochi precedenti serviva solo a soffocarli…), e il massimo traguardo che un giocatore poteva ottenere era proprio completare il gioco senza uccidere nemmeno un nemico.
Ma un gioco che è andato ancora oltre, che ormai praticamente due anni fa è stato uno dei maggiori successi di critica e pubblico del mondo videoludico pur essendo una produzione a bassissimo budget, è un piccolo RPG di nome “Undertale“, da poco disponibile anche su PS4PlayStation 4. e PS Vita.
Sotto la storia

Fanart di Sans e Papyrus, i due simpatici fratelli scheletri del gioco. Nonostante l’altezza, Papyrus è il più giovane.
Vi avverto che d’ora in avanti ci saranno diversi spoiler su “Undertale” (sia sulla storia, sia su alcune peculiarità del gioco che potreste preferire scoprire da soli semplicemente prendendolo e giocandolo senza saperne nulla, a mio avviso il modo migliore di godersi il gioco). Se ancora non lo avete giocato, proseguite a vostro rischio e pericolo.
Oltre alle sue bellissime musiche, al suo stile grafico retro semplice ma simpatico, a personaggi ben caratterizzati e a una storia che sa divertire e affascinare allo stesso tempo, ciò che fa spiccare “Undertale” nella massa è il suo gameplay piuttosto peculiare: due termini che sentirete spesso tra i fan del gioco sono “genocide route” e “true pacifist route”, ad indicare due modi completamente opposti di vivere il gioco. In ogni combattimento si può infatti scegliere se attaccare e combattere come in un “Dragon Quest” qualsiasi, o cercare un approccio differente, parlando con i nemici e interagendo con loro in diversi modi fino a far cessare le ostilità. Emblematico è, nell’interfaccia utente, il pulsante “mercy”, che sta per “risparmia”, ma che si traduce anche come “misericordia”. Il concetto di misericordia, al quale Papa Francesco ha curiosamente dedicato il Giubileo del 2016 avvenuto poco dopo l’uscita di questo gioco, è proprio la chiave di lettura di “Undertale”: il gioco ci invita a perdonare e comprendere l’altro, risolvendo i conflitti pacificamente invece di farci strada a suon di mazzate.
La via larga e la via stretta
La via pacifica, nel gioco così come nella realtà, non è però quella che si presenta come più facile: il nostro personaggio non guadagnerà esperienza, non uccidendo nemici, e dovremo a ogni turno, mentre tentiamo di comunicare in modo pacifico, evitare i colpi avversari in delle sezioni di gameplay che ricordano i bullet hell come “Ikaruga” o la saga di “Touhou“.
Ma per parafrasare Yoda, il fatto che il Lato Oscuro sia più facile non vuol dire che sia migliore. Seguire la via della violenza potrà sembrare conveniente, ma il gioco ci farà ben capire che a lungo andare la misericordia viene ripagata: se si uccide un nemico, infatti, vedremo davanti ai nostri occhi le conseguenze della nostra azione, la sofferenza che essa genera. E se anche, pentiti di ciò che abbiamo fatto, caricheremo un punto di salvataggio precedente, il nemico morto tornerà sì in vita e potremo continuare la Pacifist Route, ma ci verrà rinfacciato di aver semplicemente utilizzato il nostro “potere del Save” (sì, è bellissimo il modo in cui viene rotta la quarta parete) perché spaventati delle conseguenze, ma ciò che abbiamo fatto resta un gesto orribile.

Non si può dire che Sans non ci abbia avvertiti
E se invece andremo fino in fondo alla Genocide Route, eliminando ogni essere vivente del gioco, non solo non sarà più poi così facile man mano che andiamo avanti (ci troveremo di fronte a una boss fight finale che definire infernale è un eufemismo), e il finale sarà piuttosto chiaro nel dirci cosa pensa di noi, ma una volta completata, se anche proveremo a ricominciare il gioco, magari per fare una bella True Pacifist Route, le cose andranno in modo piuttosto… strano. Non dico altro.
Spaventati da queste conseguenze, molti giocatori potrebbero preferire di non giocare in prima persona questa Route, ma comunque incuriositi potrebbero volerla vedere in un qualche gameplay su YouTube. E Toby Fox, il creatore di “Undertale”, ha pensato anche a questo! A un certo punto della Genocide Route, infatti, un certo personaggio farà un’invettiva contro “quei codardi che non vogliono assumersi la responsabilità delle proprie azioni e pensano di essere al sicuro guardando qualcun altro compierle”.
Undertale è un gioco che non dimentica nulla, e non risparmia proprio nessuno dal confrontarsi con il messaggio che vuole trasmettere.
Tutta questa enfasi sulle conseguenze di una cattiva azione potrebbe sembrare un po’ contraria al concetto cristiano del perdono, ma serve a mostrare come togliere la vita non sia un qualcosa con cui si possa scherzare. Perché per quanto ci si possa pentire, la persona uccisa non tornerà in vita, e la ferita lasciata nei cuori delle persone ad essa vicine non si rimarginerà facilmente.
Inoltre, quello che in fin dei conti “Undertale” ci mostra è come uccidere faccia del male in primis a noi stessi. L’unica vera “punizione” che il gioco ci dà è metterci davanti alle reali conseguenze delle nostre azioni. Se uccidiamo Papyrus, non è soltanto la difficoltà dello scontro con Sans a farci male, ma anche il pensare che abbiamo provocato in lui, con la morte di suo fratello, un dolore enorme che porta un personaggio altresì tranquillo e scherzoso a un’ira incontrollabile. Uccidendo per giunta un poveraccio a cui non si può non voler bene appena lo si vede.

Toriel dà subito riparo al nostro avatar senza volere niente in cambio
Sono altri videogiochi a darci l’illusione che uccidere gente a destra e manca possa non lasciare alcuna conseguenza e lasciarci impuniti, nella realtà le cose vanno più nella direzione che ci mostra “Undertale”. Inoltre, tutti i personaggi che ci troviamo davanti, anche quelli più spietati nel volerci eliminare come Undyne o Asgore, hanno in fin dei conti ognuno un proprio passato, delle ragioni, delle persone a cui tengono, che ci fanno dire “ma chi sono io per giudicarlo?”. Perché così è nella vita: ogni essere umano è talmente complesso e sfaccettato che, se anche possiamo condannarne le azioni (e nel caso in cui sia pericoloso, adottare contromisure come l’incarcerazione), decidere che qualcuno merita la morte e dare quindi una sentenza definitiva è al di là del nostro potere.
Come disse Giovanni Paolo II in un celebre intervento, avvenuto pochi mesi dopo l’attacco alle Torri Gemelle:
Se diamo la priorità al fare giustizia ciecamente, senza dare la priorità al bene comune ma al “farla pagare a quel bastardo”, guidati dall’odio e dal desiderio di vendetta, finiamo per diventare esattamente come le persone che tanto odiamo. Pensare invece a cosa è meglio per il bene di tutti, e sì, magari anche della persona che ha compiuto il torto, ci permette di scegliere più razionalmente e di giungere a una soluzione migliore.
Poi, a ognuno la sua scelta: la nostra vita, così come “Undertale”, ci dà il più totale libero arbitrio.
Vi dico soltanto che per me, un finale come questo merita decisamente di più:

The End
Conclusione
Detto ciò, “Undertale” è a parere mio un eccellente videogioco (★★★★): originale, divertente e profondo al tempo stesso. E dove magari manca in rifinitura, compensa con la sua volontà di esplorare una tematica fin troppo trascurata dall’industria videoludica, e di fare ciò in buona parte attraverso il gameplay (e non soltanto appiccicando una trama diversa a delle meccaniche trite e ritrite).
Alcuni criticano la presenza della Genocide Route, sostenendo che “se una cosa è così sbagliata, perché perdere tutto questo tempo a realizzarla e metterci un sacco di elementi interessanti?”. La mia risposta è molto semplice, la bellezza di “Undertale” sta proprio nel metterti davanti la scelta di sbagliare e di andare a fondo nel tuo errore, valorizzando così un giocatore che sceglie la via giusta. Se nessuno di noi avesse la possibilità di compiere il male, saremmo tutti santi ma varrebbe ben poco come cosa. Inoltre, “Undertale” si prende gioco di quei giocatori per cui la compulsione di completare al 100% tutto va a minare il sapersi godere nel modo migliore un’esperienza videoludica. Nella vita reale non possiamo ripetere i dialoghi e le scelte per vedere che succedeva se facevamo questo o quello, possiamo solo vivere il presente, e il gioco di Toby Fox va vissuto con uno spirito simile.
Come cattolici quanto come appassionati di giochini elettronici, è secondo me importante sottolineare l’importanza di opere di questo tipo, e spingere affinché più sviluppatori provino a sperimentare sui concetti di pace e misericordia, mostrando come i videogiochi non abbiano necessariamente bisogno di celebrare la violenza per divertire e appassionare. Meglio ancora se utilizzando appieno le potenzialità di questo medium, senza per forza ricorrere all’espediente del “simulatore di passeggiate”.

Yoko Taro, director della saga di Drakengard/NieR, ci dice la sua su Undertale
Visto il grande successo di “Undertale”, mi auguro che tutti gli appassionati che si sono ritrovati a giocarlo possano trarne riflessioni positive e voler portare anch’essi le loro vite a un “True Pacifist Ending”. Altrimenti, ritrovatevi a sfidare Sans nella vita reale (che ha il bruttissimo difetto di non avere i checkpoint, infatti nella mia recensione gli ho messo 4 e rimane così finché quegli incapaci degli sviluppatori non lo fixano), ma poi non dite che non vi avevo avvertiti!
Spero che l’articolo vi sia piaciuto e ne approfitto per ringraziare gli amici di Cattonerd per avermi proposto di scrivere questa recensione. Alla prossima!
Commenti da facebook
4 Aprile 2018
Ne sento parlare molto. A frenarmi sono il prezzo alto (per un gioco corto e coi valori di produzione di un vecchio 8 bit), l’esplicita presa di posizione (non-neutralità nonostante siano presenti tutti i modi per giocare: un’interessante ma spigolosa combinazione) e il conseguente tono (intelligentemente e forse un po’ ferocemente) didascalico che di solito scandalizza i genitori “dei vecchi valori” perché preferirebbero una “favola tranquilla” (cioè smussata: vedi gli spaventosi originali). Il tutto sembra avere una posizione “da moralista brutalmente sincero”, che istintivamente credo sia “nippofila”. L’enfasi sulla “pietà attraverso il dolore” mi sembra, effettivamente, parecchio “narutesca”. Tutto ciò come aspettativa di chi non se l’è (ancora?) procurato… (Spero solo che non abbia toni prolissi e melò come il succitato Kishi…)
4 Aprile 2018
Mi scusi, lei per caso ha studiato Giurisprudenza?
6 Luglio 2018
Beh, il prezzo non trovo che sia poi altissimo (10 € che calano quasi sempre a 5 nei saldi Steam), e riguardo ai valori di produzione, io personalmente apprezzo molto la pixel art e la chiptune, e credo che quel prezzo varrebbe la pena pagarlo anche solo per la fantastica colonna sonora del gioco.
Riguardo i temi, io personalmente apprezzo Naruto, ma Undertale non ha molto a che spartire con il manga di Kishimoto, quindi vai tranquillo.
24 Luglio 2018
Il prezzo è alto perché le recensioni che ho letto dicono che è corto, inoltre è indie grafica simbolica, basso bugdet (non che desiderasse esserlo, ma è tutto trama, non è spettacoloso).Un gioco che è più che altro una provocazione o un gioco-saggio sui dilemmi morali, nonostante i finali mi sa che, lavorando tanto sulle conseguenze impreviste e sui colpi di scena, avrà valore replay limitato, ecc. L’equivalente del classico racconto che ti dice molto ma che non è una saga, e non ti viene molto voglia di rileggere. Di solito i fantasy o gli RPG sono interminabili e uno dice “ci gioco una vita”. In questo senso 10 € è alto, visto che lavorando di sconti riesco a prendermi una copia digitale di The Witcher 3 per quel prezzo. No, non ho studiato giurisprudenza ma visto che ultimamente si fa polemica per tutto e non voglio rinunciare ad avere opinioni precise, le dettaglio come un rendiconto (o un’arringa): è un’abitudine. Almeno non possono dirmi che ho opinioni per partito preso, di pancia, che non da giustizia (e due…) alle ragioni di uno qualsiasi che preferirebbe che stessi zitto, ecc. Tutto sommato capirei che sarebbe un mondo un po’ contorto ed elitario se tutti facessero sempre così, ma piuttosto del contrario (cioè il trend di adesso, ché per abbreviare si acclama o si insulta, visto che basta mezza riga, e poi ci si complimenta da soli per essere stati “schietti e popolari” (sigh)! Forse avrei dovuto: me lo dicono in tanti(!) invece ho avuto un sacco di grane, altrove, coll’Università…