Adrian, dal trash ai meme
La generazione dei meme

Il disegno mal riuscito di Milo Manara diventato un meme…
Quando ci guarderemo indietro, probabilmente noi ventenni degli anni ’10 ci riconosceremo come la generazione dei meme. I meme sono il nostro rock: un modo di comunicare nuovo, inedito, dinamico e su misura per noi. Una continua creazione di simboli universali, a volte intuitivi, a volte più concettuali. Capita che nascano meme di nicchia o territorialmente delimitati che poi si espandono, magari perdendo il loro significato iniziale. Un linguaggio intuitivo, che usando il caos crea ordine nel caos stesso, dando significato e codificando l’esperienza umana in infiniti idealtipi sempre nuovi.
I meme dei meme?

un vecchissimo meme di D’Alema, probabilmente creato all’estero e poi reimportato in Italia tramite la Internet Culture
Purtroppo, però, la fama rovina sempre tutto: gli ultimi The Beatles erano una schifezza, Frank Sinatra con gli anni divenne l’ombra di sé stesso, Kurt Cobain si uccise prima di finire come gli altri superdivi, diventati icone immortali, non in grado di sopportare il peso della propria stessa immagine. E la stessa cosa sta accadendo oggi ai meme: dal linguaggio mistico, in cui è possibile capire il significato superficiale ma non il significato profondo per cui c’è bisogno di un’iniziazione, si stanno trasformando sempre più in linguaggio da normie, da persone normali, con divulgatori pronti a spiegarne ogni sfumatura e politica e marketing che tentano di sfruttare questo nuovo linguaggio per arrivare a quelle meravigliose coorti di ventenni così difficili da inserire nei normali canali di vendita. E quindi si arriva ad episodi molto meta, in cui è lo stesso contenuto che si auto-elegge a meme – campagne virali pensate per diventare dei meme di sé stessi o personalità pubbliche che si ricostruiscono in questo linguaggio così efficace con le giovani menti. E così viene a mancare la decontestualizzazione dei simboli che crea nuovi significati, perché i simboli già si decontestualizzano, e tutto diventa un rincorrere la memizzazione, di fatto uccidendo questo modo di comunicare.
Adrian e l’inconsapevolezza che fa il vero trash
Quando ieri sera ho visto “Adrian“, la nuova serie di Celentano, non ho visto semplicemente un episodio di pessima televisione all’italiana, un inno alla megalomania di Celentano o la solita operazione cash grab dove dei professionisti, anziché dire al proprio cliente che no, quella non era una buona idea, hanno deciso semplicemente di tacere e portare a casa la pagnotta. L’avevamo già visto su “The Lady” di Lory Del Santo: un personaggio dello spettacolo che ormai ha detto tutto quello che poteva dire e che cerca di riciclarsi come produttore con risultati tragicomici. E, come su “The Lady”, la fortuna del prodotto sta nella fama dell’artista unita al fatto che il prodotto sia di scarsa qualità, che trasformano l’eccessivo dramma profuso in entrambe le opere in qualcosa di comico.
Ad ogni modo, ieri sera io ho visto un regalo: un involontario regalo che arriva da un’età che ormai non c’è più, quella antecedente ai social media. Lo scollegamento con la realtà di Celentano e l’ignavia dei project manager che si sono occupati di creare questo aborto hanno creato un prodotto puro, dove il linguaggio dei social non esiste e non viene nemmeno contemplato. D’altronde, non stiamo parlando di un Gianni Morandi qualsiasi, che ricicla il suo carisma in chiave social per restare, paolinianamente, nel mondo, ma di Adriano Celentano, un artista del mondo, che piuttosto di invecchiare e ridimensionare la propria figura pubblica ha preferito l’esilio auto-imposto, restando fermo a tematiche e strategie comunicative vecchie di trent’anni. Ma per Internet, questo show è una pianura vergine dove poter cogliere, forse per una delle ultime volte, dei nuovi meme non inquinati da sovrastrutture. Un po’ come l’ultimo uomo sulla terra nel libro “Io Sono Leggenda”, Celentano è l’ultimo artista rimasto ad un periodo storico passato e di cui probabilmente non sentiamo (ancora) nostalgia. E il mondo di Internet già reagisce a questo regalo: e quindi il disegno malriuscito di un evidentemente scazzatissimo Nilo Manara diventa un meme nonsense, da appiccicare su altre immagini per un piccolo teatro dell’assurdo formato meme. Una casetta disegnata malissimo diventa il background per decontestualizzare personaggi ed aggiungere un livello di significato ulteriore, nella migliore tradizione memistica. La “mafia International“ con sede a Napoli diventa un meme pronto ad essere utilizzato per criticare questo o quel politico in odore di concorso esterno. Inavvertitamente, l’ego spropositato di Celentano ha catalizzato l’attenzione verso un prodotto che fa schifo, ma che è una miniera incredibile di materiale da sfruttare.
Conclusione
Che dire, non sappiamo se durerà – sembra che si parli già di cancellare la serie, visto quanto fa schifo –, ma anche dovesse essere una di quelle cose rimaste per sempre incompiute, come il “Ciclo dei Vinti” di Verga, “Il Silmarillion“ di Tolkien e il telefilm “House of Cards“, dobbiamo ringraziare il Molleggiato per quest’ultima fiammata di vita che ha regalato ad una generazione che, ottimisticamente, ormai si sta avviando verso il mutuo ed il matrimonio. Ed ora vi lascio, perché devo andare a piazzare il faccione di Adrian su una foto di Di Maio.
Voto?
Commenti da facebook
22 Gennaio 2019
Ah, che nostalgia! “Rockpolitik” mi regalava serate di trash che mi godevo seduto davanti alla tevelevisione, quando a quei tempi ancora ne avevo una, nel tentativo di risolvere il grande enigma: Celentano ci fa o ci è? Adesso, a distanza di tanti anni, credo di avere la risposta… XD
2 Giugno 2019
Ma… veramente io ho sempre pensato che Adriano Celentano fossi praticamente te da vecchio, Alex! Mi stupisce vedere che non ti piaccia come persona XD