Il miglior regalo – Recensione
Quando al posto dei film si fa proselitismo
“L’ultima cima” è un film interessante, emozionante, ma non sono tra quelli che lo apprezza particolarmente come cinefilo. Ben vengano i documentari, le belle testimonianze, accetto un certo tipo di fumetto giornalistico che in passato snobbavo del tutto, ma almeno al cinema… per amor di Dio Santissimo, datemi una storia e lasciate da parte i reportage! Almeno al cinema, ricordatevi che la settima arte è sopratutto narrazione e intrattenimento. E l’intrattenimento non è mai un male!

La locandina è l’unica cosa che davvero funziona e che mi ha persuaso a vedere il film
Quando arrivò nelle sale “Terra di Maria” pensai che, pur essendo film indagine, almeno lì ci sarebbe stata una narrazione capace di coinvolgere, essendo tanto il clamore positivo percepito da me negli ambienti parrocchiali per quest’opera. Così mi impegnai con ingenuo altruismo da evangelizzatore della rete a pubblicizzare il film sulle pagine di Cattonerd. Poi vidi il film e… oddio! XD Sbiancai per quanto mi risultò indigesto! Un triste “prologo” del racconto di Adamo ed Eva, che nemmeno il più superficiale dei catechisti avrebbe presentato in quel modo, dava inizio al film. Poi via con tutta una serie di stucchevoli testimonianze di persone che hanno ricevuto grazie e/o miracoli per mezzo di Maria. Sono mariano, amo Maria, considero il rosario la preghiera più bella e non nascondo la mia devozione per la Madonna di MedjugorjeCome tutti aspetto che si concluda il fenomeno delle apparizioni prima di formulare un giudizio definitivo, ma per ora ne riconosco i frutti positivi come un semplice de facto., ma “Terra di Maria” ha i medesimi problemi dell’ultima opera di Juan Manuel Cotelo. Il regista spagnolo del suddetto film adesso torna alla ribalta con “Il miglior regalo”, che si presenta come una “commedia western” che però subito distrugge la sospensione dell’incredulità rivelandosi un pretesto, diciamo, “narrativo” molto discutibile, che vuole essere a tratti comico pur non riuscendociUna battuta che non fa ridere è la gaffe peggiore in un film.. Due antiche famiglie nel Selvaggio West si sono da sempre combattute senza pietà, fino al duello finale tra i suoi ultimi sopravvissuti. No, non è il buon telefilm western “Hatfileds and MacCovys”, uscito anche su Netflix, che vanta la stessa sinossi e che ci mostra con una narrazione intelligente come la vendetta sia dannosa sempre e comunque. Il regista de “Il regalo migliore”, che paradossalmente non ama il genere western da lui tanto nemmeno velatamente demonizzato già nelle prime battute del film, tronca di botto la scena del duello finale per sostenere che si deve finire di realizzare storie dove manchi un lieto fine. La ragione? È solo un imbarazzante escamotage per fare un proselitismo boccaccesco per quanto smaccatamente sentimentale e sfrontato. Aggiungiamoci anche un’esegesi nemmeno pienamente condivisibile e il cerchio si chiude in modo davvero imbarazzante.
Ma spieghiamo il tutto un po’ meglio.
Vittime dell’odio o del cattivo cinema?

Il film nel film, che ha per protagonista il regista non è una novità, ma è sempre un espediente valido con alcuni accorgimenti… che qui non sono presi in considerazione!
La trama, se così la possiamo definire, è solo un pretesto per avviare la solita serie di testimonianze strappalacrime: con la scusa di dover convincere gli attori a cambiare il finale del film western, che però non si capisce se siano veri attori-macchiette o davvero bifolchi del Selvaggio West – in quanto tutto il film è solo un canovaccio per inculcarci che dobbiamo essere “buoni” –, il regista-protagonista di questo film monta a cavallo e si mette sulle tracce di diverse persone che hanno sperimentato sulla loro pelle come la vendetta sia pressoché autodistruttiva. Si alternano tante testimonianze forti, da Irene Villa fino ai guerriglieri delle Farc pentitosi dei propri crimini. La più importante è però l’ultima, quella del genocidio del Ruanda, che ci presenta tale nazione come l’unico luogo al mondo dove si sono risolti i problemi dell’uomo. O almeno sul fronte vendetta/violenza. Ora non è affatto così… Cioè, mi farebbe piacere pensare il contrario, ma la verità è che il Ruanda ha ancora problemi da risolvere. Oltretutto tra piccole comunità nel bel mezzo della natura incontaminata, come quelle del Ruanda, e megalopoli sorrette da strutture di male, come le nostre città, credo che le possibili soluzioni ai problemi legati alla violenza siano eufemisticamente diverse. In ogni caso, nel film “Il miglior regalo” si attribuisce il genocidio degli Tutsi alla cattiva propaganda dei mezzi di informazione. Dunque un crimine voluto da intellettuali, scrittori, giornalisti, docenti, membri del governo e addirittura da alcuni rappresentanti delle diverse confessioni religiose locali. Ciò non è falso, ma non è nemmeno l’unica ragione a cui si può attribuire lo scaturirsi di tale violenza insensata. Il Ruanda è sempre stato diviso in tre caste: Tutsi, Hutu e Twa. L’uso dei nuovi mezzi di comunicazione fu la miccia accesa dalla propaganda che fece esplodere una bomba già presente in quel popolo. Viene giustamente riportata la profezia di Nostra Signora di Kibeho che apparve a un gruppo di ragazzi e ragazze nel 1983, per profetizzare « i fiumi di sangue » della strage perpetratasi nel 1994. Ma nel film non si cita l’apparizione della Madonna per richiamare i cattolici e la Chiesa alla misticaAscoltare la volontà di Dio nei suoi profeti piuttosto che inventarsi strategie umane per salvare il mondo., ma all’attivismo umano del peggior buonismo concepibile.
Un conflitto… interrotto!

Gli attori, cioè Carlos Aguillo e Carlos Chamarro, hanno anche un loro carisma… peccato che siano pressoché non sfruttati!
Ricordando come la cattiva propaganda fu determinante per il genocidio del Ruanda, il film propone che se tutti i mezzi di informazione e di cultura, a partire dai film, invece di trattare di cronaca nera, vendette, cose brutte, storie con elementi di violenza e finali drammatici ci inculcassero senza tregua che dobbiamo piuttosto volerci bene tutto si risolverebbe. Questo a casa mia si chiama buonismo. Un buonismo dovuto al solito problema che da tempo affronto nei miei articoli: l’antropocentrismo dell’odierno Cristianesimo. Ossia, mettere l’uomo al centro di tutto per la risoluzione dei problemi umani. “Ma il cuore dell’uomo è incline al male fin dalla adolescenza” (Gn 8, 21) rivela la Scrittura. Ma pure se la Bibbia non contenesse tale affermazione nessuno avrebbe difficoltà nel capire che l’istinto dell’uomo è in parte malvagio per ragioni anche semplicemente biologiche e che solo una ResurrezioneDa quella che comincia nei Sacramenti fino a quella definitiva, della carne, del Regno di Cristo in terra. può guarirne la natura. Dunque il mito del buon selvaggio di Rousseau, beh, tale resta. Avete visto “Lost”? Ecco… pure se un gruppo di brave persone restasse bloccata su di un’isola inaccessibile, dopo qualche settimana la concupiscenzaI limiti e le tante ferite o tare che rendono l'uomo incline anche al male e incapace di vivere come un figlio di Dio. riporterebbe tutti a confrontarsi con l’istinto di prevaricazione come o peggio di prima.
Il proselitismo… perché non funziona?
Di per sé fare proselitismo, cioè annunciare il Vangelo a ogni creatura (Mc 16, 15), non è affatto una cosa sbagliata. Anzi, è fondamentale! Bensì come si annuncia il Vangelo? Prima di tutto ricordandosi cos’è il Vangelo: è una storia, bella. Sì, è la storia di Gesù Cristo, come momento più grande nella Storia della Salvezza. I primi cristiani divorarono il mondo politeista facendo essenzialmente due cose: raccontare la Storia della Salvezza a partire dalla bellezza di Gesù Cristo, offrendo una relazione con il divino che non aveva precedenti; e dando per primi l’esempio, imitando Gesù Cristo nel suo viaggio dell’eroe. Miracoli, “Atti degli Apostoli”, martiri e padri della Chiesa furono solo conseguenze di questo. Niente di più, niente di meno.
Oggi facciamo lo stesso? No! O non del tutto. Dunque che il mondo sia post-cristiano, come Tolkien già sosteneva ai suoi tempi (1892-1973), è pressoché conseguenziale.
Perché oggi annunciare il Vangelo non funziona più come in passato? ~ Domanda sottovalutata.
In vero, le ragioni dovrebbero essere ovvie. Prima di tutto il mondo odierno ha un rigetto naturale per la Storia della Salvezza. Ossia, è cambiata la cosmogonia mentaleLe convinzioni più profonde riguardo le origini dell'Universo e dell'uomo, anche solo nell'ambito dell'inconscio. che un tempo era la base comune su cui l’intera umanità si trovava pressoché d’accordo. In pratica c’è un divinoDio e/o déi con cui relazionarsi. e la natura, con le sue leggi e la sua complessità, dimostra che niente esiste per caso. Prima del concetto di creazione dal nulla c’era comunque quello dell’ordine che prende forma dal caos per volontà divina. Partendo da queste premesse, raccontare di un Dio fattosi carne e dell’esistenza del Figlio o dei Figli di Dio non era così astruso rispetto a oggi (Gv 10, 34). Anzi, gli unici che paradossalmente si fecero problemi furono gli ebrei con un monoteismo granitico, ormai incompatibile rispetto all’unione ipostaticaL'unione tra Dio e l'uomo, vero Dio e vero uomo. sommamente compiutasi in Gesù Cristo.
Però anche se ci troviamo in una condizione storica più complessa, dove il male è confuso con il bene, se siamo educati al bello possiamo ancora rendere il desiderio di trovare un senso più alto e profondo in qualsiasi opera ben realizzata uno sprono per la fede.
Non so se ci avete fatto caso, ma tolti alcuni scrittori cattolici particolarmente paradigmatici (Dante, Chesterton e Tolkien), qui su Cattonerd si tratta solo di opere letterarie (cinema, videogiochi, fumetti e romanzi) non cristiane!!! Eppure ci fanno amare Dio.

Quentin Tarantino non scrive certamente sceneggiature di film per “evangelizzarci”, ma senza una spiritualità cattolica ha saputo in ogni caso mostrare il percorso di un gangster che scopre la fede in Dio dopo un miracolo… e anche dell’odio di due persone messo da parte per “forza maggiore”! XD
Non è nemmeno un problema la violenza inserita nelle narrazioni, tanto che qui su Cattonerd siamo estimatori di film come “Pulp Fiction“, dove l’odio per il nemico è superato con un percorso psicologico a dire poco trash. E non ci sentiamo nemmeno in colpa per queste nostre “perversioni”, perché la schizofrenia “Sacro VS Profano?” non funziona in nessuna forma di linguaggio da noi sperimentata. Gesù è barbaramente ucciso, dunque Juan Manuel Cotelo, suppongo, non ci donerebbe opere simili a “La Passione di Cristo” e “Apocalypto” di Mel Gibson, dove la violenza abbonda, ma farebbe vedere direttamente la bella comunità degli apostoli sorretta da slogan e belle testimonianze. Invece se si scrive un bel racconto si parla sempre di Cristo anche se il tutto si svolge nel Selvaggio West, tra ladri di cavalli, sparatorie, giustizieri, duelli, vendette e finali tragici. Ogni racconto scritto con il cuore, secondo un viaggio interiore ben delineato, ha intrinsecamente un potente germe di Verità.
Rispetto a questo, scrisse Tolkien:
Ossia, alludo a quanto abbiamo già affrontato da sempre su Cattonerd: “La potenza di una bella storia. Ovvero, della Bibbia!” è ciò che davvero conduce a Dio.
Conclusione

Trattandosi di un film documentario che mette al primo posto il messaggio a discapito della narrazione, gli attori avranno senz’altro avuto a disposizione una bella città western per potersi godere momenti di pausa particolarmente ispirati… immaginatevi una bella partita a “Bang!” fatta dentro il saloon
Questa da me scritta è più una riflessione che una recensione vera e propria, ma è chiaro che il voto non raggiunge la sufficienza: ★★. Cioè, il film non è proprio bruttoSicuramente non è brutto come 'Terra di Maria'... quello davvero tocca il fondo!… ma non funziona manco un po’! XD “Il miglior regalo” non intrattiene e in ogni caso non è questo il suo fine, ma si rivela solo un espediente per persuaderci pretestuosamente, attraverso una catechesi assemblata non proprio benissimo con diverse testimonianze davvero difficili da metabolizzare o interiorizzare, che ci ripetono che dobbiamo scegliere il perdono con la “magia/forzaIl perdono è una grazia, ma odiare e desiderare giustizia è un passaggio necessario per chi di noi non sia già santo. Dunque il perdono non si ottiene magicamente.” della fede in Dio. Quanto esposto da Juan Manuel Cotelo si scontra con la realtà dei fatti: l’uomo non è prevaricatore perché celebra la violenza nei film, perché qualcuno lo “indottrina al male” o per carenza di racconti dove c’è un “lieto fine” o distacco dal “giustizialismo”, ma perché siamo ontologicamente difettati nella nostra relazione con Dio. Tale relazione si ristabilisce semplicemente grazie alla bellezza della storia di Cristo e di ogni altro conflitto narrato che a Lui riconduce (Rm 8, 28). Abbiamo già tutto un mondo di attivisti politici che vogliono inculcarci “nuove” o “vecchie verità” nei modi più ingerenti, ma se a questi si aggiungono anche i già rarissimi cattolici che si dovrebbero occupare di cinema e narrativa stiamo freschi! XD Anzi, invece di persuadere i cristiani che la narrativa è davvero ciò che detta il pensiero dominante, in questo film si propone un proselitismo che semplicemente uccide ogni storia. Ma pure se un domani il mondo si popolasse di nuovi Tolkien e Lewis, lo sappiamo già, non basterebbe a salvarci! Le storie che possiamo raccontare, siano esse cristiane e non, commedie o drammatiche, sono tutte per l’attesa della sola cosa che può salvare in modo definitivo: la ParusiaGesù torna per fare nuove tutte le cose, a partire dalla carne ferita dell'uomo decaduto.. Pertanto “Il regalo migliore” ha un target inutile: un film cattolico per cattolici, inadatto al resto del pubblico. E trovo più edificante vedermi “Lo chiamavano Trinità” di E.B. Clucher che subirmi altri documentari strappalacrime camuffati da film western.
Commenti da facebook
4 Aprile 2019
Mi trovo decisamente d’accordo con quanto riportato nell’articolo. Ho trovato il film NOIOSO, diverse volte ho guardato l’orologio pensando “ma quando finisce?”. E’ un collage di testimonianze appiccicate alla buona con uno scotch di bassa qualità (non sto parlando di liquori XD).
Ma non è solo la forzata ambientazione western (che prova a far ridere ma -ahimé- fallisce miseramente) a non essermi piaciuta. Anche le testimonianze sono riportate in maniera un po’ stucchevole e che si basano molto sulla forza di volontà. Mi ha colpito una frase detta dalla voce fuori campo del regista: “Questa donna, nonostante il dramma che ha passato, ha un sorriso schiacciante.” E’ proprio così: schiacciante. E non in senso buono. Lei stessa dice: “potevo scegliere se cadere in depressione o perdonare chi mi aveva fatto del male). Ecco, a me una cosa del genere fa un po’ girare i coconuts. C’è gente che VORREBBE TANTO perdonare, ma non ci riesce. San Paolo nella lettera ai Romani dice “c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo”. Cioè esattamente l’opposto di quanto mi ha trasmesso questa donna. Sono certo che la vera testimonianza abbia radici molto più profonde, ma nel film a me passa solo il messaggio che lei è una donna eccezionale, con una fibra forte, una “superdonna” insomma. E questo non mi fa desiderare il perdono, mi lascia solo la frustrazione di non riuscirci, di essere sbagliato io.
Se non ci fosse stata l’insulsa ambientazione western, ma soltanto le testimonianze (magari in numero minore e meglio approfondite), e questo lavoro mi fosse stato presentato come un documentario, forse sarebbe stato altrettanto pesante, ma almeno sarebbe stato più onesto.
4 Aprile 2019
XD Meno male che lo scrivi anche tu, la maggior parte dei cattolici si sono arrabbiati per questo articolo… (Strano che non si siano riversati nei commenti qui, ma solo sui Social…) Vabbè, lo davo per scontato, ma preferisco mettere in guardia i lettori non “cattolicissimi” su questo film “ibrido” piuttosto che tenermi buoni i fan di Cotelo. Riguardo Irene Villa, c’è un documentario di più di un’ora dove lei racconta la sua storia. Non so se sia reperibile con i sottotitoli in italiano, ma credo che sia in grado di spiegare come ha fatto uscire dal suo cuore un odio pressoché fisiologico.
Comunque il film non fa ridere, non ha un target sensato, non intrattiene e può confondere su temi davvero delicatissimi in modo, oltretutto, gratuito. Non so, mi pare che dargli ★★ sia già molto!
Pochi giorni dopo aver visto “Il miglior regalo”, nel teatro della mia parrocchia ho proiettato ai ragazzi “La vita Pi”. Ehi, anche lì si affrontano tanti argomenti spudoratamente di fede, ma il film è talmente bello che pure i miei amici non credenti ci pensano due volte prima di criticarlo. Ripensavo a “Lost”, citato nell’articolo non a caso… è una serie sul senso della vita, ma nessuno si sente “catechizzato” dopo averla vista. Certo, non è detto che chi la vede si ritrovi “convertito”, ma se bastassero i soli film a renderci cristiani Gesù sarebbe nato sceneggiatore piuttosto che falegname!
7 Aprile 2019
Caro Alex Pac-Man, ho letto la tua recensione e il commento di Ganzo qui sopra e ammetto che in questo film (chiamiamolo film, per comodità) ci sono tutti i punti critici che avete elencato; ma nel complesso a me è piaciuto. E ho pure riso, soprattutto sul finale.
“Il miglior regalo” prova a parlare di un argomento difficile conservando una certa leggerezza e secondo me ci riesce abbastanza bene. Abbastanza, dai. Poi hai ragione, non è “The Passion” e sicuramente non mi ha intrattenuto; piuttosto mi ha scaricato addosso una raffica di provocazioni senza darmi tregua (dove l’ho visto io non c’è stato nemmeno l’intervallo), bacchettandomi senza pietà perché io faccio fatica a perdonare per delle cretinate. L’ha fatto cercando di tenere un tono leggero e questo l’ha sicuramente portato a correre il rischio di banalizzare e semplificare troppo situazioni complesse che hanno richiesto vite intere per sbrogliarsi. Questo è senza dubbio un grosso limite ma onestamente non credo che il film in sé meriti tanta severità.
Però il problema non è il film, giusto?
Il punto cruciale della tua riflessione riguarda la bellezza, la sua capacità di attrazione e il fatto che noi cattolici non sembriamo più in grado di parlarne (di scriverne, di farne un film, una canzone…). Credo tu abbia già affrontato l’argomento in passato.
Non abbiamo più poeti, è dolorosamente vero, e allora cerchiamo altrove quel germe di Verità di cui parli. Ma non sono così sicura che “se si scrive un bel racconto si parla sempre di Cristo”. Non sempre. A volte sì. Altre volte un bel racconto è solo un bel racconto e rischia solo di metterci ancora più sete.
Anche per questo non mi sento di essere troppo severa con “Il miglior regalo”, perché non abbiamo più poeti ma abbiamo qualche qualche Cotelo, qualche scrittrice… artisti piccini, minori appunto. Ma i tolkieniani lo sanno meglio di tutti: i minori forse non sono capaci di dipingere un intero grande bellissimo Albero, ma a ben guardare le loro foglie hanno un incanto particolare.