Soul: la scintilla dell’anima
Il viaggio della psiche verso la bellezza
(Questo articolo è stato scritto a due mani: Anacleto & Api)
Un fulmine a ciel sereno, Soul, il nuovo film della Disney/Pixar.
Tra una giocata in famiglia e un’overdose natalizia di colesterolo, il tutto inserito nell’ormai “familiare” cornice della pandemia, Soul. “Dai rilassiamoci, vediamoci un cartone che ci allieti queste due ore così tanto per alienarci un pò”, e invece no arriva il film d’animazione che ti riporta alla realtà della tua vita in un modo inaspettato e dolcissimo.
I personaggi
Soul parla del viaggio nell’aldilà di Joe Gardner, musicista Jazz di talento, che, affaticato da un vissuto pieno di compromessi, si trova ad un bivio esistenziale: accettare, dopo tanti anni, la proposta di un lavoro sicuro e stabile come insegnante di musica nella scuola media, o buttarsi nell’esperienza da sempre desiderata delle esibizioni che finalmente ha la possibilità di vivere. Il suo cuore desidera percorrere la seconda strada, coronare il suo sogno, mentre le incombenze della vita quotidiana, concreta e ineluttabile, sono più compatibili con la prima.
Joe trova finalmente il coraggio di seguire il suo cuore, ma… ops, un tombino aperto in piena Manhattan si traduce in un biglietto di sola andata verso l’oltretomba. Inizierà così per lui un viaggio nell’aldilà, dove dovrà spacciarsi per mentore delle anime non ancora nate, con il compito di accompagnarle alla scoperta della “scintilla” per poter vivere. Viene assegnato a Ventidue, l’unica anima che nel susseguirsi di migliaia di anni e di mentori “di stirpe” (ad avercene… cit. Aldo, Giovanni e Giacomo) non è riuscita a fare il grande passo: nascere.
Joe vuole egoisticamente tornare sulla Terra per appropriarsi di ciò che è “suo diritto”, ovvero perseguire l’obiettivo che finalmente ha scelto. Allo stesso tempo Ventidue vuole fare di tutto per scappare nuovamente dal grande passo, evitando ancora una volta di dare inizio alla sua vita terrena. I due si accordano affinché ognuno raggiunga il proprio scopo, ma non tutto va come previsto.
“Cosa vivo a fare?”
Quante volte ci siamo fatti questa domanda particolarmente difficile, soprattutto se ti coglie spiaggiato sul divano mentre addenti un pezzo di torrone:“Vivo per raggiungere un obiettivo? Mi sento in grado di interagire con una realtà caotica e quasi imperscrutabile?”.
Ecco, già questa domanda parla molto della nostra natura. Abbiamo una tensione interna che supera la sopravvivenza del “qui e ora” di ogni essere naturale, ma anzi ci magnetizza in avanti, verso un obiettivo più grande al quale proviamo a tendere. Come direbbe Viktor Frankl, psichiatra ebreo ideatore della Logoterapia, siamo esseri teleologici che necessitano per la loro realizzazione e felicità di avere la convinzione di spendere la loro vita per qualcosa di grande e bello. Siamo fatti così: siamo nati per le cose grandi, non solo per sopravvivere, è scritto nella nostra psiche. L’oggettività della natura dell’uomo parla chiaro: non riusciamo a vivere se non abbiamo uno scopo, senza quella “scintilla” che ci accenda e ci faccia camminare verso una meta. Nessun uomo al mondo ha mai avuto una profonda soddisfazione nel placidamente stagnare senza un principio né un fine. Senza questa forza vitale rimaniamo non-nati, Non ci sentiamo in grado di entrare nella vita e ci abbandoniamo cinicamente alla convinzione che la vita semplicemente non vale la pena di esser vissuta, proprio come Ventidue.
Entrare in “fissa”
A volte, però, questo desiderio fortissimo di trovare dove per noi davvero scorre la vita bella e piena viene mal interpretato e ridotto alla convinzione che la nostra gioia coincida col mero raggiungimento dei nostri obiettivi, come vediamo in Joe. “Fenomenali desideri cosmici, in un minuscolo obiettivo vitale” (semi-cit. Aladin). Ovviamente questo non è una colpa: è nella natura dell’uomo tentare di incarnare un desiderio altissimo, di cose meravigliose, in una cosa pratica, ma così mettiamo dei paraocchi e ci concentriamo solo sulla nostra idea e visione di come la vita piena. Per gli addetti ai lavori, la Sapienza di Dio chiama questo meccanismo “idolatria” che, senza scomodare le scienze etimologiche dei linguamortari, significa quasi letteralmente “stare in fissa con quella cosa senza la quale non sarò mai felice”. L’idolatria è proprio quella cosa che Dio a tal punto disprezza, da dissarla già nel primo comandamento (”Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna”), perché Lui vorrebbe che ognuno riuscisse a vedere la propria vita come il capolavoro che Lui stesso ha sognato per noi, superando il modo riduttivo in cui noi ci “fissiamo” nel pensarla. Sia Joe che Ventidue sono chiamati a indossare delle lenti nuove per vedere diversamente la loro vita.
Momento di svolta
Alla conclusione della loro avventura terrena, sembra che i due abbiano raggiunto il loro scopo iniziale di far tornare tutto com’era prima, ma… in Ventidue qualcosa è cambiato. Ciò che accade è che Ventidue ha ottenuto la sua “scintilla”, ora si sente pronta per iniziare la propria vita sulla Terra. Joe, dalla sua, tenta di tutto per riottenere ciò che è suo: la chance della sua vita, la giustizia contro una vita insoddisfacente e non all’altezza.
Il cambiamento di prospettive di Ventidue si scontra con l’inamovibile egocentrismo di Joe che, rivendicando i suoi diritti, ottiene ciò che vuole scoraggiando la sua amica e minimizzando il cambiamento da lei raggiunto.
Che cosa si intende con “scintilla”?
In Soul le anime ne hanno bisogno per poter iniziare a vivere, perché si tratta di quell’innesco, quell’intuizione necessaria a entrare totalmente nella vita, alla ricerca della bellezza che la rende piena e godibile. Ma contemporaneamente l’essere umano nutre il bisogno profondo di sentirsi all’altezza, di avere la certezza di potercela fare nelle situazioni che spesso sono più grandi di lui.
In psicologia, il sentirsi all’altezza della situazione coincide con il concetto di autoefficacia percepita, di cui parla Albert Bandura, che risponde alle domande “ce la posso fare? Ne sono all’altezza?”. Anche noi, come Ventidue, possiamo vivere un senso di profonda inadeguatezza rispetto alle sfide che la vita ci pone, e spesso l’unica opzione che ci sembra possibile è “bella regà, io accanno ‘e pratiche” (per i lettori che abitano fuori dal GRA di Roma, “me ne lavo le mani”).
Bandura sostiene che il grado in cui ci si può sentire all’altezza di una situazione è qualcosa di dinamico e che può modificarsi nel tempo e a seconda delle circostanze. Ma come?
Diversi fattori influenzano il grado in cui siamo convinti di essere all’altezza della situazione:
- Esperienza di padroneggiamento: cioè sperimentare concretamente con successo una data situazione/sfida;
- Esperienza vicaria, o modellamento: cioè fare esperienza di qualcuno simile a te che ti sappia guidare nella scoperta delle tue potenzialità;
- Persuasione: ossia ricevere critiche costruttive da parte di persone significative che sappiano mettere in evidenza tutte le ragioni per cui hai le reali capacità per riuscire a farcela;
- Consapevolezza dei propri stati fisiologici: vale a dire la capacità di riconoscere quando la tua condizione psicofisica ti supporta od ostacola nel portare a compimento quella data sfida. Si tratta di sapersi conoscere, dialogare con se stessi.
L’amicizia di Joe e l’avventura vissuta sulla Terra sono stati per Ventidue il punto di svolta per la sua esistenza. Dopo decine di mentori esemplari – Madre Teresa di Calcutta, Jung, Aristotele, Pitagora e così via… – è stato proprio un jazzista del Bronx sconosciuto pure a sua madre, a far scattare la “scintilla”. Joe è stato il punto di svolta per Ventidue per sentirsi finalmente pronta alla grandezza della vita. Joe ha saputo offrirle una sincera visione della bellezza a cui avrebbe potuto aspirare, personificando tutti quei processi, di cui parla Bandura, necessari a nutrire il senso della propria efficacia.
Il cambio di prospettiva “filocalico”
Joe può finalmente percorrere la strada che aveva scelto, ma… “è tutto qui? è solo questo ciò che ho sempre desiderato dalla vita?”. Fa un frontale con la realtà, L’esperienza a lungo desiderata si rivela insipida, deludente. Si rompe l’incantesimo dell’idolatria. Capisce di aver frainteso: la “scintilla” che le anime cercano, non coincide con lo scopo della propria vita, ma con il connettersi alla bellezza della vita. La delusione gli fa aprire gli occhi su quella che è davvero la sua chiamata: deve convincere Ventidue di essere pronta a vivere, di essere all’altezza della sua esistenza.
Il film non termina con il taglio netto dei vecchi schemi, che avevano condotto Joe alla fuga dalla realtà, ma con un delicato e radicale cambio di prospettiva: ecco che i nostri personaggi ora indossano lenti nuove per vedere la loro stessa vita ma in modo differente, rinnovata non perché nuova e diversa ma perché riscoperta nella sua bellezza nascosta. Del resto, quante volte anche noi, per provare a dare una svolta alle cose, ci illudiamo che basti “cambiare aria” e tutto si risolverà? Ma non è così, perché ovunque si possa fuggire, i nostri schemi ci seguono sempre.
La consapevolezza che Joe ha maturato è il risultato della crescita raggiunta grazie all’esperienza vissuta con Ventidue, grazie alla quale è stato messo in discussione e ha potuto scoprire qualcosa di nuovo di sé che fino a quel momento lo avrebbe deluso, scandalizzato: Joe ha capito che la sua vita è molto di più di quanto lui ha messo al suo centro.
Ventidue, invece, ha maturato la propria consapevolezza di essere destinata alle cose belle, alle cose alte della vita, potendo finalmente spogliarsi del suo cinismo (cioè quella che S. Agostino chiama accidia). Si è finalmente resa conto che la vita, per quanto possa essere alle volte difficile, monotona, imprevedibile, è il più grande dono che si possa ricevere. Renderci conto di questo dono che viviamo ogni giorno è l’immagine del finale di Soul.
Conclusione
Alla domanda che ci siamo posti all’inizio, “Cosa vivo a fare?”, non esiste una risposta sola, oggettiva, uguale per tutti. Soul è, però, un’opportunità per capire che c’è un filo conduttore che ci accomuna tutti, cioè che siamo tutti destinati alle cose belle, alla pienezza della vita. La difficoltà nell’accogliere un messaggio così bello è legata al fatto che spesso della vita diremmo tutto, tranne che è bella. Allora si tratta di cambiare prospettiva, come hanno fatto Joe e Ventidue, per riorientarsi verso la ricerca quotidiana della bellezza. Diceva Pavel Aleksandrovič Florenskij (filosofo, teologo, scienziato, prete ortodosso vissuto nella russia dei primi del Novecento), che si ha sempre la possibilità di assumere una prospettiva filocalica sulla propria vita, cioè un punto di vista orientato alla ricerca della bellezza e della santità della nostra esistenza. La vita che abbiamo è bella, fatta per esser gustata in ogni sua piccola cosa.
Che la filocalia sia con voi.
Commenti da facebook
5 Febbraio 2021
Appena concluso di vedere il film, a parte la lacrimuccia che è scesa, mi sono detto “questo non è un cartone per bambini, questo film parla a me 25enne”. Grazie per questa ottima riflessione che avete fatto!