Harry Potter e il dono della morte
Quando la morte porta frutto

Il simbolo dei “Doni della Morte” (fonte: Pinterest)
Non so se ve ne siete accorti, ma in Harry Potter, si parla tanto di morte, la si mostra in modo molto esplicito, “crudo”.
Fin dall’inizio della saga, pur seguendo inizialmente lo stile del racconto per bambini/ragazzi, la Rowling ha inserito alcuni elementi fondamentali del suo personaggio che in seguito si sarebbero notevolmente sviluppati adattandosi ad un pubblico più adulto e maturo (un po’ come fa Tolkien scrivendo “Lo Hobbit”).
Harry: un bambino segnato
Come possiamo vedere, sono cari gli elementi che mostrano come Harry Potter sia un eroe segnato dalla morte: ha perso entrambi i genitori, è colpito lui stesso dalla maledizione mortale ed il suo nemico, non a caso, si chiama Voldemort. Ne porta persino un segno indelebile sulla fronte.
Con una creatività e fantasia incredibili, libro dopo libro (film dopo film) l’autrice in mezzo ai numerosi fili intrecciati della trama principale ci lascia, quasi come se si trattasse di una importante trama secondaria, alcuni indizi su un insegnamento importante legato proprio al tema della morte, un insegnamento che probabilmente è legato alla sua storia personale, nonché alla sua fede cristiana.
Tra tutti quello che più mi ha colpito è l’epitaffio sulla tomba dei genitori di Harry, a Godric’s Hollow: “L’ultimo nemico ad essere sconfitto sarà la morte”, citazione di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi (1Cor 15,20-34).
La citazione anticipa l’azione con cui il protagonista riuscirà a sconfiggere un nemico in apparenza imbattibile: lasciandosi uccidere, o meglio accettando la morte per mano di colui che più di tutti ha paura della morte, Voldemort.

In fondo alla tomba, la citazione da San Paolo
Passaggio
Mentre per tutta la saga infatti, quasi miracolosamente Harry sfugge continuamente alla morte (proprio come il minore dei tre fratelli nella fiaba di Beda il Bardo), arriva ad un punto, la fine del settimo libro, in cui capisce che è giunto invece il momento di accettarla, di accoglierla, per non far soffrire gli altri al posto suo, e anche perché dentro di lui c’è un po’ di Voldermort, cioè un po’ di paura della morte, che deve morire, per lasciare spazio al coraggio (caratteristica di ogni Grifondoro e in particolare di Harry stesso).
Quello è il momento in cui il processo di maturazione di Harry è completo.
Da ragazzo adolescente a uomo. Non a caso Silente, salutandolo nel “sogno” (se di sogno si trattava) di King’s Cross gli dice: “Meraviglioso ragazzo. Uomo di enorme coraggio”. Il professore sancisce il passaggio di Harry all’età adulta, avvenuta proprio grazie al suo accettare la morte, come parte della vita, la sua scelta di smettere di fuggirle, ma di camminarle incontro, non come un condannato, ma come chi parte per una avventura sconosciuta, paurosa sì, ma anche affascinante (un po’ come fanno Frodo e Bilbo Baggins imbarcandosi verso le terre occidentali alla fine de “Il Signore degli Anelli”).
Sorella Morte
In questo cammino, come sappiamo, Harry non è solo, è accompagnato dall’amore di coloro che sono vivi, ma anche di coloro che lo hanno preceduto in questo cammino, apparsi per un attimo grazie alla Pietra della Resurrezione.
L’insegnamento della scrittrice dunque sembra essere proprio questo: si diventa adulti solo quando si accetta di dover morire.
San Francesco direbbe: quando si chiama la morte “sorella”.
Questa sembra essere la grande differenza tra Harry e Voldemort, il primo, grazie all’amore dei suoi genitori (sua madre in particolare) di Silente e di tutti gli altri, capisce che “vi sono cose ben peggiori della morte”, anzi, per certi versi un suo pezzo di cuore è già per di là, nell’ “Oltre” secondo quanto dice l’epitaffio sulla tomba della famiglia Silente, citazione del vangelo di Matteo: “Dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Mt 6:19-23). Il secondo invece è ossessionato dal prolungare il più possibile la vita terrena, anche a costo di distruggere qualunque cosa abbia intorno. In tal caso mentre in Harry avviene un vero e proprio processo di crescita, Voldemort resta un eterno adolescente impaurito dalla propria finitudine.

La scena in cui Harry rivede le anime dei suoi cari prima di sacrificarsi
Conclusione
Mi domando se il poco rispetto per il prossimo e per l’ambiente che caratterizza la nostra società da lungo tempo, non sia anche in fondo in fondo, frutto del rifiuto della morte, ad ogni costo e con ogni mezzo, da parte di tanti uomini che somigliano più a Lord Voldemort che ad Harry. Ciò conferma forse che “non è vero che credere all’eternità ci distoglie dall’attenzione verso la vita terrena, la cura dei fratelli e del creato… È piuttosto vero il contrario, è chi non crede all’eternità che non ama abbastanza la vita” (cfr. Raniero Cantalamessa – Meditazione di Avvento del 18-12-2020).
Commenti da facebook
2 Aprile 2021
Bellissimo articolo!!!!
2 Aprile 2021
Grazie!